
I gemellaggi negli anni fatti dalla città di Pesaro ci parlano d’altro. Ci parlano del tentativo, immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, di affermare una diplomazia dei popoli, una rete di legami che non seguisse le alterne posizioni dei governi in Europa e fuori da essa. Una esperienza che moltiplicata per le tante città italiane voleva davvero abbattere muri e costruire ponti. Il silenzio sceso su di essi oggi, al tempo della ricostruzione dei muri, lo trovo ingiustificabile.
Nanterre, lo abbiamo visto purtroppo di recente, potrebbe dirci oggi cosa significa il fallimento dell’integrazione di una immigrazione che si riteneva ormai acquisita, sfociata invece in un rigurgito di violenza nelle periferie, in un ritorno della religione vissuta come estremismo discriminatorio in particolare dalle giovani generazioni. Siamo sicuri che non ci interessi, che sia tempo perso trovare il modo di parlarne insieme, imparare insieme? Oppure Watford potrebbe dirci della Brexit, di come essa è vissuta oggi dalla gente comune e di come tanti italiani vivono, dopo quella scelta, nella nazione che hanno adottato con tanta speranza. Parlare quindi di Europa come dovremmo fare con Lubiana, Rovigno o Novigrad cioè con quei Balcani sempre sul filo dell’instabilità e del nazionalismo.
E non è forse da Keyta, dal Niger, teatro dell’ultimo colpo di stato nell’area sub sahariana, che si possono leggere la radice dei fenomeni migratori, i grandi cambiamenti ambientali (ricordo una foto con nostri amministratori impegnati a piantare alberi per rafforzare una duna come difesa dalla estensione del deserto), la crisi e gli effetti del neocolonialismo di matrice prevalentemente francese e i nuovi scenari geopolitici, prima di commuoversi e dividersi per gli immigrati che arrivano con i barconi? E ancora la grande città di Qinhuangdao di una Cina che allora non era realistico pensare diventasse la potenza capace di disegnare un mondo nuovo con tutte le incognite del caso. Un mondo verso cui quello vecchio è spinto a muoversi in modo conflittuale, ovvero nel senso opposto rispetto alla filosofia che sottende ogni gemellaggio e che mi fa sembrare quel piccolo gesto di fratellanza molto più lungimirante della politica dominante nei governi occidentali e in quel Giappone che abbiamo di recente approcciato con il gemellaggio con KaKegaua.
Ho lasciato volutamente per ultimo Rafah, la città della striscia di Gaza ai confini con l’Egitto e da cui migliaia di civili sperano in queste ore di passare per mettersi in salvo. Un gemellaggio tanto contestato anche dalla rappresentanza israeliana in Italia, quanto invece potentemente attuale. La battaglia per isolare e sconfiggere i tagliagole passa necessariamente per il prosciugamento dell’odio che giorno dopo giorno si è accumulato a Gaza. Lo sapevamo. C’era anche un gemellaggio a ricordarcelo. Il punto è semmai, cosa abbiamo fatto per rispondere, per agire, per muovere azioni conseguenti a questa consapevolezza?
Mi pare di poter dire che è bastata mezza pagina per fare, attraverso la lettura dei nostri gemellaggi, un affresco del mondo di oggi in forte cambiamento. Quindi è il caso di viverli non come una eredità sempre più insignificante del passato ma come opportunità per rilanciare l’idea di una città crocevia di culture, curiosa del mondo, protagonista della cultura della Pace e che “odia gli indifferenti”.
*ex sindaco di Pesaro
ex parlamentare