Pesaro, morto Roberto Pantanelli, l'imprenditore che amava i giornali

Si è spento alle soglie dei 95 anni dopo una vita intensa. I funerali domani 15.30 alla Chiesa di Soria

Roberto Pantanelli

Roberto Pantanelli

Pesaro, 23 marzo 2018 - Nobile ma senza quarti, ribelle ma senza essere rivoluzionario, polemista ma con finezza, signore ma senza prosopoea, Roberto Pantanelli si è spento nel pomeriggio di ieri a Sassocorvaro, dove era ricoverato, a poco meno di un mese dal compimento dei suo 95 anni. Si chiude dietro di lui un pesante battente della storia pesarese del Novecento, si interrompe la lunga scia di una persona che fu imprenditore, editore, scrittore, giornalista, politico. Il tutto con la leggerezza di un signore rinascimentale, con la passione sempre accesa di un umanista. «Se fossi stato solo imprenditore sarei stato più ricco...» aveva detto una decina d’anni fa. 

Scrittore finissimo, editore perfetto, sodalizi che lo collegavano alla mitica rivista letteraria “Il Caffè”, erede del settecentesco “Il Verri” e a gente come Giambattista Vicari, Luciano Anceschi, Walter Pedullà, Aldo Rossi, Alberto Arbasino, Paolo Volponi, Luigi Malerba, Italo Calvino, Andrea Zanzotto, Michele Rak e altri. Ogni libro una piccola perla per levigatezza ed eleganza, ogni storia sulla sua amata Soria e la città piccoli capolavori da tenere cari, sempre lontano un miglio da una pur parvenza di banalità. Figlio della passione anche in politica, tanto che negli anni Novanta, lui, liberale senza partito, pronto alla lite per un articolo ben scritto, “scende in campo” come candidato sindaco di Forza Italia, contro il peso massimo della sinistra Oriano Giovanelli. I veri nobili non hanno puzze sotto il naso. Conversatore impagabile, età ed acciacchi hanno sudato non poco ad attutire e a spegnere i suoi bollori riemergenti. Tante, troppe per questo spazio e per adesso, le cose, gli aneddoti, le situazioni da meditare e riprendere. Una per tutte per dare il senso di come potesse essere fatta una persona illuminata del secolo XX, rappresentante di un “arte della vita” che non ha più né titolari e nemmeno epigoni: nel 1944, sul finire della seconda guerra mondiale, torna nella casa natale di Soria distrutta dai tedeschi: «Recupero solo un trattato di agricoltura in latino e poco altro», dirà, miseri resti della biblioteca di famiglia. Ultimo ad andarsene dei 4 fratelli: Enrico, Eugenio, Roberto, Edgardo. Marito della bella Maria Luisa, padre di Silvia e Giorgio. Dopo l’8 settembre 1943 va a Milano da uno zio, lo arrestano in una retata come disertore della repubblica di Salò, lo deportano a Dachau da dove riesce a fuggire dopo un bombardamento: «Il primo maggio sono di nuovo a Milano, puzzo da far paura». 

Un borghese gentiluomo? Forse sì ma con estro. Lui ci avrebbe riso, ma è gratificante che fosse vero. C’era un filo a volte sotterraneo che li univa pur nelle loro specifiche diversità e personalità: Dario Zini, Sandro Crescentini, Enzo Mancini, Gianfranco Sabbatini, Alberto Berloni, Antonio Brancati: imprenditoria e cultura, politica e serietà, culto della parola data, amore per la “patria natia”, piacere del ritrovarsi. «Sono Roberto, ti chiamo perché avevo voglia di chiacchierare un po’». Ora il telefono tacerà. Funerali domani 15.30 alla Chiesa di Soria.

IL CORDOGLIO DEL SINDACO - «Siamo profondamente addolorati - osserva il sindaco Matteo Ricci -. Perdiamo una figura di spessore, sempre presente nella vita della città. Storico esponente della parte liberale, ma personaggio stimato trasversalmente da tutti, caratterizzato da grandi capacità umane. Amava la cultura e ha contribuito, con i suoi slanci, al dibattito per lo sviluppo del territorio. Anche con la sua esperienza da consigliere comunale. Siamo vicini alla famiglia in questo momento di dolore».