
Sopra, nonno Augusto con i colleghi il giorno della pensione, nel ’66
Pesaro, 19 marzo 2025 – Una dinastia di postini da 112 anni. E’ la saga della famiglia Baldassarri che, da tre generazioni, lavora per Poste. “Mi chiamo Mirco Baldassarri – racconta l’ultimo della dinastia, che presta servizio nell’ufficio di Pesaro Cacciatori -, lavoro in Poste Italiane da 40 anni ma il rapporto che lega la mia famiglia all’azienda dura in maniera ininterrotta da circa 112 anni. Mio nonno Augusto è stato assunto come fattorino nel 1913 a 13 anni. In quegli anni i postini lavoravano in bicicletta ma per mio nonno la bici non era solo uno strumento di lavoro ma una vera e propria passione sportiva. E nel 1956, all’età di 16 anni, è entrato in Poste mio padre Sante, sempre come fattorino. Sia mio nonno che mio padre lavoravano su tre turni giornalieri di otto ore coprendo così le intere 24 ore per 365 giorni all’anno”.
Mirco Baldassarri, vista la sua lunga storia familiare, è anche depositario di curiosi segreti, alcuni anche un po’ macabri. “L’ufficio di Pesaro centro – racconta – ha la sua sede in quello che era l’antico convento di San Domenico e, quando alla fine degli anni ’50 fu decisa la sua ristrutturazione, furono trovate decine di scheletri di monaci sepolti sotto il salone centrale. In quell’occasione l’intero ufficio fu trasferito al Conservatorio Rossini che si trova poco distante. Il telegrafo però, vista l’impossibilità di spostare i macchinari, rimase al suo posto e i due fattorini del turno di notte si trovarono, per alcuni giorni, nella non allegra situazione di lavorare a fianco di una enorme buca piena di scheletri”.
Poi, negli anni ’80, è arrivata l’assunzione anche per Mirco. “Nel 1985 anche io sono stato assunto in Poste come fattorino”. E ricordando gli inizi della propria carriera Mirco racconta un altro aneddoto. “La sala del telegrafo, che si trovava al primo piano, inviava i telegrammi attraverso la posta pneumatica al piano terra dove stazionavano i fattorini pronti a partire al recapito con i motorini di loro proprietà. Io lavoravo con un Bravo della Piaggio ma con un orario diverso da quello di mio nonno e mio padre. Da tre turni di otto ore si era infatti passati su due turni di sei. Considerando i mezzi precari a disposizione, il pomeriggio invernale era il momento più difficile visto che alle 16 era notte e le giornate fredde e spesso piovose. Quando poi il meteo non lo permetteva si lavorava anche a piedi. Nel 1992 ho cominciato a fare il portalettere. Ho continuato a lavorare con un Bravo della Piaggio in cui legavo dietro il sedile la vecchia borsa in pelle e nel manubrio un sacco di iuta pieno di corrispondenza”.
Mirco partecipa poi al concorso come “caposquadra”, ruolo ricoperto con soddisfazione. “Una figura che non esisteva ma che è stata creata dall’azienda per gestire e coordinare il lavoro del portalettere”. Ma per quanto la tecnologia possa aver fatto passi da gigante, Mirco riflette sul rapporto stretto e quotidiano che c’è tra i postini e la strada. “Sia che si trovi in mezzo al traffico cittadino che nelle strade sterrate di campagna, è un lavoro che necessita di grande attenzione. È un lavoro condizionato fortemente dalla situazione climatica e meteorologica e deve sottostare al grando caldo estivo, al freddo invernale e a tutti i generi di intemperie”.