San Crescentino, torna la processione dopo 5 anni

L’arcivescovo Giovanni Tani: "Si riprende il filo di una tradizione che ha sempre visto la festa in cattedrale. Un momento emozionante"

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di Giovanni Volponi

Dopo cinque anni dall’ultima celebrazione in cattedrale e due anni dall’ultima processione con la statua del patrono, il 1° giugno la festa di san Crescentino tornerà alle forme tradizionali. Terminate le restrizioni, la diocesi lavora senza sosta ai preparativi, che procedono parallelamente ad un altro evento di lunga tradizione, che si tiene il giorno dopo: il pellegrinaggio a piedi Urbino-Pelingo. L’arcivescovo Giovanni Tani non nasconde la trepidazione.

Dal 2016 non si celebra il patrono in duomo. Quanto è importante questo ritorno?

"Si riprendere il filo di una tradizione che ha sempre visto la festa in cattedrale, dalla quale il santo esce per la processione e nella quale rientra. Gli ultimi due anni, le celebrazioni in piazza Rinascimento hanno avuto un loro fascino, ma è bene ritornare alla tradizione, anche perché è un segnale di superamento dell’emergenza Covid".

È invece dal 2019 che non si può tenere la processione. Che significato ha tale pratica?

"Ha molti significati. Portare il santo vicino ad ogni luogo e quindi mostrare la sua vicinanza a tutti; significa anche che tutta la città accoglie il santo. È una accoglienza reciproca. Ma il camminare significa vedere la vita come pellegrinaggio. Camminiamo con Crescentino verso la meta definitiva della nostra vita".

Che reazioni vede negli urbinati verso la processione?

"Non si vede mai tanta partecipazione come quando il santo esce per le vie della città. Da sempre le cronache ricordano la festa di Crescentino accompagnata da una grande presenza di gente. Ci sono poi i gesti tradizionali, come quello di prendere il garofano rosso alla fine. Anche la gente ferma nei bar o per le strade è attenta e rispettosa".

Cosa distingue la nostra festa da altre feste patronali che ha avuto modo di vedere?

"A Urbino non ci sono bancarelle, fuochi d’artificio, attrazioni di vario genere. Tutto si concentra nella messa e nella processione, cosa che non succede quasi mai. Eppure la gente partecipa numerosa".

C’è un san Crescentino speciale che ricorda?

"Il primo anno, nel 2012, ho vissuto con bella sorpresa tutta la coralità cittadina attorno al suo Santo. Poi l’emozione del 2020, dopo i mesi duri del Covid, con tutte le restrizioni richieste. Celebrare in piazza fu una intuizione che si fece strada progressivamente, anche con la richiesta al comune del palco. Ma dove collocarlo? La soluzione tradizionale sembrava ovvia, in fondo alla piazza; poi ci sembrò migliore vicino all’obelisco, e così si è fatto. L’emozione di quella messa fu grande".

Dopo due anni di stop si torna anche al Pelingo, da dove si parte?

"Da quest’anno, edizione numero 43, la partenza sarà al santuario di Ca’ Staccolo, unendo così due santuari della nostra diocesi. Un legame ideale che è certamente molto significativo".

Lei ha quasi sempre partecipato a piedi. Cosa le piace dell’iniziativa?

"La sua semplicità: la partecipazione non è mai così numerosa da richiedere una grande organizzazione. Poi il percorso è molto vario e piacevole, la gente prega volentieri. Ricordo l’entusiasmo di don Umberto nell’organizzarlo e seguirlo col pulmino. Infine l’ultimo tratto che si fa con le bandiere: quasi un arrivo trionfale".

Sotto il suo episcopato il Pelingo si è trasformato. Il suo obiettivo per quel luogo è stato raggiunto?

"Il santuario è molto frequentato, vi si recano persone dalla diocesi e da fuori. La chiesa antica è piccola e, quindi, ho accolto con favore la richiesta di ampliamento. Ricordo che le ipotesi avanzate furono tante; alla fine ha preso corpo quella di un grande salone polivalente, e credo che il risultato sia ottimo e molto funzionale. Certo, in occasione del pellegrinaggio tutta la gente non potrà essere contenuta nemmeno nella nuova struttura. Valuteremo la tradizionale messa all’aperto".

Quest’anno aspetterà i pellegrini al santuario?

"Ci sarò senz’altro".

Il prossimo anno ci sarà un altro arcivescovo?

"Chi vivrà vedrà".

Giovanni Volponi