BENEDETTA IACOMUCCI
Cronaca

Sanità senza frontiere. L’infermiera Alessia da Pesaro all’Afghanistan: "Qui curo mamme e bebè"

E’ partita il 17 marzo e tornerà a fine giugno per una missione con Msf "Solo in questo ospedale le donne possono togliersi il burqa. E ci sono anche tante professioniste". Ma ancora per poco.

E’ partita il 17 marzo e tornerà a fine giugno per una missione con Msf "Solo in questo ospedale le donne possono togliersi il burqa. E ci sono anche tante professioniste". Ma ancora per poco.

E’ partita il 17 marzo e tornerà a fine giugno per una missione con Msf "Solo in questo ospedale le donne possono togliersi il burqa. E ci sono anche tante professioniste". Ma ancora per poco.

C’è un solo posto, nella provincia ultraconservatrice di Khost in Afganistan, dove le donne arrivano avvolte nei loro burqa blu, e una volta varcata la soglia si scoprono il viso anche in presenza di altre persone. Un solo posto dove si ritrovano tra loro, senza l’obbligatoria presenza di un componente maschile della famiglia – il padre, il fratello, il figlio, il marito – condizione semplicemente inimmaginabile all’esterno. Ed è sempre lì che altre donne, che fuori sarebbero identiche sagome senza volto, diventano professioniste preparate e capaci, in grado di salvare altre donne e sostenere la famiglia con uno stipendio. Questo luogo impossibile è l’ospedale materno-infantile di Medici senza frontiere, a Khost, al confine con il Pakistan, dove dal 17 marzo si trova in missione Alessia Gaudenzi, 38enne fanese, infermiera che lavora in Rianimazione all’ospedale di Pesaro, e dal 2019 collabora con l’organizzazione umanitaria non governativa attiva in progetti sanitari in alcune delle realtà più inaccessibili del mondo.

E’ stata in un campo profughi del Sud Sudan, a Mosul in Iraq, in Ucraina all’inizio della guerra, ed ora è in Afghanistan, a pochi chilometri da Islamabad, capitale del Pakistan, in una provincia popolata da abitanti di etnia pashtun. "Quello di Khost è un ospedale esclusivamente materno infantile, quindi i nostri pazienti sono donne e neonati – racconta Alessia –. In questa provincia risultano registrate un milione e mezzo di persone, ma probabilmente sono molte di più. Ci occupiamo solamente delle urgenze ginecologiche, come rotture dell’utero, distacco della placenta. Parliamo di oltre 50 parti al giorno, duemila al mese". Numeri che tutta l’Ast non raggiunge in un intero anno. "Ci sono due sale operatorie per i tagli cesaresi e una ventina di posti di terapia intensiva neonatale: io ad esempio sono supervisore della terapia intensiva delle mamme".

Un ospedale per le donne, dove le donne sono anche tra le professioniste. Un fatto decisamente raro, soprattutto dopo che l’Emirato islamico ha stabilito che le afghane non potranno più frequentare gli istituti di medicina. "Questo avrà conseguenze devastanti per la salute delle donne – dice Alessia –. Qui, la maggior parte del personale è femminile: arrivano con il burqua e poi se lo tolgono per lavorare, restando solo con l’hijab che lascia scoperto il volto".

Anche Alessia lavora con l’hijab e la tunica, come le colleghe afghane. Ma ci sono anche medici uomini, soprattutto anestesisti. A loro non è impedito visitare le donne, devono solo chiedere il permesso prima di entrare in reparto, avvisando le pazienti che magari stanno alattando. Gli altri uomini invece, i mariti, i fratelli, non possono entrare. Una dimensione sociale decisamente inedita che tante sperimentano per la prima volta.

"Le donne che arrivano sono spesso all’ottava o alla decima gravidanza – dice Alessia –, e le primipare sono giovanissime, hanno 15/16 anni, e arrivate a 30 hanno almeno 6/7 figli. Sognano un futuro migliore per i figli e certo, se nasce un maschietto, sono più sollevate". L’impegno di Msf prosegue anche fuori dalle mura dell’ospedale: "Questa è una provincia poverissima, dove la scarsità di cibo è un problema serio. Per questo facciamo anche screening sulla malnutrizione e distribuiamo cibi iperproteici".

C’è poi il problema dei focolai di morbillo, molto diffusi in altre province afghane a causa della scarsa copertura vaccinale della popolazione. "Da noi a Khost la situazione non è preoccupante – dice Alessia –, perché il 98% dei bambini che nasce nel nostro ospedale viene vaccinato. Inoltre abbiamo dei ’promotori della salute’ che tutti i giorni vanno nelle cliniche pubbliche e parlano alla popolazione". Alessia tornerà in Italia a fine giugno. Con un bagaglio di esperienze e ricordi: "Porterò con me la dolcezza della popolazione afghana, ma soprattutto la resilienza delle donne malgrado il loro apartheid sociale".