Pesaro, sfrattata e in preda all’alcol. Ecco l’inferno di Marina

Dorme per terra, sotto le auto, davanti alla casa di via Morselli in cui viveva

ORMAI SONO DIVENTATI SUOI AMICI Molti residenti del centro conoscono e a volte aiutano  la 45enne che abitava in via Morselli. Idem gli agenti che fanno servizio vicino a piazzale Carducci.

ORMAI SONO DIVENTATI SUOI AMICI Molti residenti del centro conoscono e a volte aiutano la 45enne che abitava in via Morselli. Idem gli agenti che fanno servizio vicino a piazzale Carducci.

Pesaro, 23 maggio 2018 - Distesa come un sacco in mezzo alle auto, schiacciata tra il muro della casa da cui è stata sfrattata, in fondo a via Morselli, e la ruota di una Opel. L’hanno vista in tanti, ieri mattina: i residenti della via, tutti quelli che passavano da lì, poi i bambini che uscivano dalla vicina scuola. E tutti avevano paura che quella Opel partisse all’improvviso e ferisse o uccidesse Marina, 45 anni, una vita persa, da troppo tempo, nel cartone del Tavernello e nei ricordi della sua San Pietroburgo, da dove viene, e del cane Matteo che le faceva compagnia e che ora il Comune ha affidato al canile, dopo averla sfrattata. L’hanno messa in strada un paio di mesi fa, dalla mattina alla sera. La notte è morta la persona con cui lei conviveva, quel Panfilo Imperatore che con lei per anni ha occupato abusivamente la casa di via Morselli. Al mattino si è presentato un ufficiale giudiziario del Comune che l’ha cacciata dalla casa e ha chiuso il cancello con un lucchetto. «Ero ancora in pigiama», raccontava lei ieri, «e sono dovuta uscire». Lei, il cane e due litri di vino a disposizione. Il Comune, sapendo che ha problemi di alcol, aveva paura che lei potesse fare danni restando anche un minuto di più da sola in quella casa.

Per questo lei ora dorme lì, per terra: «Qui ci sono le mie cose, la mia bicicletta, il tablet con cui potrei parlare con mia sorella in Armenia, i miei vestiti – dice guardando il lucchetto dietro di lei –. Ma non posso prenderli perchè sono lì dentro, chiusi». Caso molto complicato, quello di Marina, che i Servizi sociali del Comune e il Sert, il dipartimento dipendenze patologiche, stanno cercando di risolvere da tempo, per ora senza riuscirci. I casi complicati di quelli che sono in balìa di tutto, ma non si fanno aiutare. La donna è dipendente dall’alcol. Dipendenza peggiorata dopo che è morto il suo convivente, dopo che nel febbraio scorso gli è morta anche la madre, che abitava ancora in Russia. Lei non vuole sentire parlare di percorsi di riabilitazione, rifugge dalle comunità terapeutiche. «Un paio di settimane fa – dice l’assessore ai Servizi sociali del Comune, Sara Mengucci – so che il Sert ha tentato di farla rientrare in comunità. Un operatore era andato al Pronto soccorso dove lei si trovava, come accade spesso negli ultimi tempi, ma non ha voluto saperne. In un’altra occasione è fuggita. Non possiamo obbligarla o farle un Tso. Stiamo cercando soluzioni alternative: come un tutore, che prenda per lei delle decisioni. Ma è difficile».

FINORA, tra chi l’ha aiutata ci sono anche gli agenti della polizia locale. Uno di loro, Roberto Baratti, che ieri con finalità terapeutica le ha portato via il Tavernello e altro alcol con cui lei sempre gira. Oramai gli agenti sono suoi amici. Lo stesso Comune ha chiesto loro di intervenire, se vedono che la situazione precipita. Dice uno degli agenti: «Se vuole, le cose che lei ha dentro, vestiti, tablet, se ce lo chiede apriamo. Idem la bici. La chiave ce l’ha l’Ufficio patrimonio o noi». Ma il cancello è sempre chiuso col lucchetto.

Così Marina, capelli biondi, modi gentili da signora russa d’altri tempi, lacrime che non bastano a difenderla dal buio in cui è, sta lì con la sua nuova ‘casa’, una busta della spesa robusta che le fa da valigia e in cui tiene dentro tutto. Coperte, un pacchetto di ciliege, un panino che una signora le ha comprato: «Marina mangia». In balìa del mondo, lei che qualche anno fa era bella come una modella, che parla russo ed ucraino, che aveva un padre calciatore famoso che giocava nello Spartak Mosca, ma che è fuggito presto di casa, abbandonando madre e figlie. Troppe cicatrici, la divisa gentile di un vigile non può bastarle.