Spiava i dipendenti dal suo cellulare: a giudizio il caporale 4.0 a Cartoceto

Nei guai il titolare di un’azienda metalmeccanica. I lavoratori sarebbero stati sfruttati e sottopagati

Telefonino (foto d’archivio)

Telefonino (foto d’archivio)

Cartoceto (Pesaro Urbino), 15 settembre 2022-  Caporalato 4.0: controllava i suoi operai direttamente dal cellulare. Un metodo ingegnoso collegato all’impianto d’allarme che all’ingresso e uscita dei dipendenti dal capannone, avrebbe mandato un sms, con un codice per ogni lavoratore, sul telefonino del titolare. Metodo di cui i diretti interessati erano ovviamente all’oscuro. E che soprattutto è contro la legge. Ma ci sarebbe stato anche altro di illegale all’interno dell’azienda. Come le ore che i dipendenti erano costretti a lavorare, molte di più e pagate molto meno rispetto a quanto previsto dal contratto collettivo.

Uno sfruttamento a cui non si sarebbero potuti ribellare, perché di quello stipendio, anche se minimo, non avrebbero potuto fare a meno. Per vivere e mantenere se stessi e le proprie famiglie. È uno spaccato inquietante quello su cui ha sollevato il velo un’indagine della procura di Pesaro che ieri ha fatto finire a processo il titolare di un’impresa nel settore della metalmeccanica con sede a Cartoceto, frazione di Lucrezia. Il gup Francesco Messina ha accolto la richiesta della procura e lo ha rinviato a giudizio per sfruttamento del lavoro. Dieci sarebbero gli operai vittime del presunto "caporale". Ma solo una ha deciso di costituirsi parte civile, con l’avvocato Giulia De Luca, per avere giustizia. Ha chiesto un risarcimento danni di 15mila euro. A gennaio si entrerà nel vivo del processo. E della vicenda.

Secondo il capo di imputazione, in quell’azienda si lavorava in condizioni degradanti ma soprattutto illegali. Ore di attività e di straordinario oltre i limiti di legge e non pagati come stabilito dal contratto collettivo della metalmeccanica. "Inquadrava i lavoratori ad un livello inferiore rispetto alle mansioni effettivamente svolte – scrive l’accusa - con la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale".

Ma c’era soprattutto quel metodo di sorveglianza non di certo regolare "posto che l’attivazione e disattivazione dell’impianto d’allarme del capannone aziendale, ad opera degli operai in occasione dei loro ingressi ed uscite, venivano controllate da remoto dall’imprenditore che riceveva sul cellulare un messaggio codificato per ciascun lavoratore, senza che i dipendenti ne fossero a conoscenza". E tutto ciò "approfittando anche dello stato di bisogno dei lavoratori, derivante per tutti dalle precarie condizioni economiche date dall’assenza di altra occupazione".

«In dibattimento verranno provati, oltre agli indici dello sfruttamento, anche lo stato di bisogno dei lavoratori di cui il datore si sarebbe approfittato – spiega l’avvocato De Luca – un dato essenziale affinché la condotta di sfruttamento sia punibile. Condotta che l’imputato ha posto in essere in tutti i suoi elementi".