Pesaro, suicidio assistito in Svizzera. Medico finisce sotto inchiesta

Nel 2013 un ex magistrato decise di andare a morire nel Paese elvetico. Indagato il dottore: "Gli diagnosticò un’inesistente malattia terminale"

L'ex magistrato calabrese Pietro D'Amico

L'ex magistrato calabrese Pietro D'Amico

Pesaro, 29 novembre 2018 - La Procura di Pesaro sta per chiudere un’inchiesta per concorso in omicidio colposo a carico di due medici. Sono il dottor Antonio Lamorgese di Fano e la dottoressa Elisabetta Pontiggia di Pavia. I quali, nella primavera del 2013, attestarono qualcosa che la procura ritiene fuorviante. Scrissero che l’ex magistrato Pietro D’Amico di 62 anni, calabrese, paziente di entrambi i sanitari, fosse affetto da patologia terminale (scritto dal dottor Lamorgese) e sottoposto a terapia specifica (scritto dalla dottoressa Pontiggia).

Con questi certificati e referti, D’Amico andò a sucidarsi in maniera assistita in Svizzera, a Basilea, dalla dottoressa Preising, in una ex palestra adibita a stanza della morte. Senza quei documenti, non avrebbe potuto mai ottenere l’autorizzazione al suicidio. Per questo la procura pesarese, pm Fabrizio Narbone, ritiene che i due medici sottoposti ad indagine possano aver avuto un ruolo determinante nel suicidio di Pietro D’Amico. Il quale era depresso ed ipocondriaco ma non affetto da malattie gravi. Diabete e poco altro. La famiglia, moglie e figlia, scoprirono tutto da una telefonata nel pomeriggio dell’11 aprile 2013 da parte della dottoressa che aveva dato ‘assistenza’: «Il signor Pietro D’Amico è morto stamane qui a Basilea per suicidio assistito come su sua richiesta. Tutti i suoi certificati medici attestano la sua malattia terminale. I suoi effetti personali saranno inviati a domicilio insieme alle sue ceneri. Arrivederci».

I famigliari bloccarono attraverso degli avvocati svizzeri la programmata cremazione chiedendo l’immediata autopsia perché non accettavano una spiegazione di quel tipo. Ottennero dalla magistratura svizzera l’autorizzazione a far effettuare l’autopsia sul corpo per accertare se il defunto ex magistrato fosse davvero affetto da patologie terminali, condizione obbligatoria per quel tipo di suicidio praticato in Svizzera, e il responso non ammetteva dubbi: D’Amico aveva solo il diabete e poco altro.

Nulla di grave. A quel punto, i famigliari attraverso l’avvocato Michele Roccisano, amico d’infanzia di D’Amico, e un legale svizzero presentarono nel 2013 un esposto alla procura di Pesaro e un altro in Svizzera contro i medici. Il fascicolo d’indagine, affidato al pm Fabrizio Narbone, ora sta per giungere al capolinea con l’avviso di conclusione indagini.

Nel frattempo, il dottor Lamorgese ribadì di «essersi sentito ingannato dallo stesso Mario D’Amico, che mi ha usato, avendo un comportamento offensivo nei miei confronti perché ha abusato della mia amicizia». Ma il dottor Lamorgese ha sempre negato di aver scritto certificazioni false: «D’Amico non aveva niente di preoccupante ma ricordo bene anche quel certificato che ho dovuto riscrivere due volte. La prima non gli andava bene perché avevo premesso “...come riferisce il paziente”.

Mi ha chiesto di toglierla. Allora ho scritto come ..“da certificazione medica presentata”. Tra il 2011 e il 2013 cominciò a dirmi di essere afflitto da gravi malattie ma io l’ho sempre tranquillizzato, scrivendo anche nell’ultimo certificato che aveva un’invalidità in stato avanzato e questo gli procurava dolori estesi.

Lo scrissi perché mi aveva spiegato che voleva andare in pensione dalla magistratura prima del tempo ed aveva bisogno di una documentazione di questo tipo. Mi aveva anche detto un paio di volte di voler andare in un centro vicino a Basilea dove avvenivano dei suicidi assistiti ma fu un argomento subito archiviato».

L’Avvocato Michele Roccisano, sentito ieri al telefono, ha detto: «Finalmente la magistratura accerterà se quei medici hanno commesso un reato scrivendo quei certificati medici».