Suicidio assistito in Svizzera, Procura di Pesaro chiede l'archiviazione dei medici

Certificati falsi, il pm non vede colpe

A sinistra: Pietro D’Amico. A destra, Antonio Lamorgese e l’avvocato Gianluca Sposito

A sinistra: Pietro D’Amico. A destra, Antonio Lamorgese e l’avvocato Gianluca Sposito

Pesaro, 2 gennaio 2019 - Sono stati ingannati loro stessi. E quindi non possono essere considerati ‘agevolatori’ del suicidio assistito in Svizzera di Pietro D’Amico, 62 anni, magistrato, di origine calabrese. Il dottor Antonio Lamorgese, 59 anni di Fano e la dottoressa di Pavia Elisabetta Pontiggia, indagati per omicidio colposo dalla procura di Pesaro per aver stilato certificati medici fuorvianti sulle reali condizioni di salute del magistrato, «vanno prosciolti».

Il sostituto procuratore Giovanni Fabrizio Narbone ha chiesto l’archiviazione del fascicolo nei loro confronti perché, pur esagerando (Lamorgese ndr) nella diagnosi delle malattia tanto da attribuirgli un’invalidità del 100 per cento non poteva sapere quale sarebbe stato l’utilizzo finale: il suicidio assistito a Basilea, in Svizzera. Il dottor Lamorgese era fermo all’obiettivo della pensione da rimpolpare grazie a quel certificato stilato nel suo ambulatorio di Fano nel marzo del 2013 mentre D’Amico, già in pensione da 3 anni, puntava a convincere gli svizzeri con quel certificato ad autorizzare il suo suicidio. Contro la richiesta di archiviazione, si è opposta la sola figlia del magistrato (avuta fuori dal matrimonio) e non la moglie. Ora dovrà decidere il gip se accogliere le tesi del pm oppure quella della figlia del defunto. 

Scrive il pm Narbone nel suo provvedimento: «Non è possibile individuare l’elemento soggettivo del reato di suicidio assistito nella condotta dei due medici. In praticolare, i tre certificati medici presentati da Pietro D’Amico alla dotoressa svizzera Erika Preisig sono stati utilizzati insieme, come se facessero parte di un’unica cartella clinica. In secondo luogo va rimarcato come i certificati presentati non fossero quelli originali, bensì dei certificati falsificati nella data e nel contenuto e viziati nella loro redazione dallo stesso D’Amico.

Infine, la stessa dottoressa Preisig nel marzo 2010, dunque tre anni prima a Lamorgese e Pontiggia, aveva attribuito una malattia degenerativa a Pietro D’Amico. Dunque è stato D’Amico ad indurre in errore i sanitari italiani e falsificando i certificati emessi. In particolare, un primo certificato a firma dottor Carullo che parlava di depressione cronica è stato falsificato da D’Amico per ottenere un certificato da Lamorgese al quale è poi seguito il certificato della dottoressa Pontiggia. Ricordando che D’Amico sapeva di non essere malato». Spiega l’avvocato Gianluca Sposito, difensore del dottor Lamorgese: «Siamo convinti di poter dimostrare, come ha già acclarato il pm, la correttezza del comportamento del mio assistito»

ro.da.