Sull’altare il Cristo tatutato di Pino Mascia

Lo scultore espone una sua opera di grande forza evocativa, nata dal profondo dolore per la morte del fratello a soli 49 anni

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La chiesa di san Francesco si arricchisce di un nuovo crocifisso, ma esso non è posizionato dietro all’altare principale (è in realtà su uno di quelli laterali), né è stato realizzato seguendo canoni tradizionali. Si tratta di un Cristo tatuato di Pino Mascia, artista e professore dell’Accademia di Belle arti di Urbino, installato a fianco dell’ingresso di sinistra dell’edificio e visibile a tutti.

"Spero che sia l’inizio del rilancio di questo mausoleo, punto di riferimento culturale – ha commentato Francesco Acquabona, responsabile Cultura della Provincia del Centro Italia per i frati minori conventuali –. Pino è entrato qui in punta di piedi, con intelligenza, facendo dell’umiltà un punto di confronto e presentando un’opera che potrebbe sembrare piccola, ma colpisce per semplicità e originalità. Non ne conosco di simili, con un Cristo tatuato. Segnare il corpo significa porre su di sé un simbolo che esprima valori e identità, oppure, in quest’epoca, coprire un vuoto o rappresentare il bisogno di dare un senso alla propria esistenza. Quando ho visto l’immagine del crocifisso, l’ho trovata molto interessante e ho invitato Pino a esporla qui: esorto ognuno a guardarlo, trovando in esso dei significati personali".

La genesi dell’opera risiede in un lutto che colpì il professor Mascia un anno e mezzo fa: la morte di suo fratello Stefano, a 49 anni. "Era un musicista, con una storia di musica e amicizia lunga 30 anni che parlava di una comunità, la Crew, generazione che usa il corpo tatuato come mezzo di comunicazione – racconta –. Al funerale, centinaia di suoi amici hanno affollato l’interno e l’esterno della chiesa: l’affetto, la sensibilità, il rispetto e la compostezza di questi ragazzi mi hanno confermato che nulla è come appare ed è questa la ragione scatenante del mio lavoro. Così è nata l’idea di studiare tali icone e il progetto di una crocefissione per una chiesa di Roma. È noto che nel Medioevo, dal XIII Secolo, i tatuatori incidessero immagini sacre a pellegrini e soldati cristiani, a testimonianza della loro presenza a Gerusalemme, e, proprio nelle Marche, ci fu un importante uso del tatuaggio sacro, già raccontato nel 1889 dall’etnologa Caterina Pigorini Beri, nel libro “Costumi e superstizioni dell’Appennino marchigiano“. Il saggio parla della diffusione massiccia di questa tecnica a carattere religioso nella zona di Loreto: proprio lì, nel santuario, si può vedere la più importante collezione al mondo di modelli usati per i tatuaggi sacri".

Nicola Petricca