Tartufo, quanto costa e chi lo compra

Viaggio nel quadrilatero d’oro delle Marche che produce mille quintali all’anno. "Per il 2020 ci salvano gli acquirenti asiatici"

Giorgio Marini di "Acqualagna tartufi"

Giorgio Marini di "Acqualagna tartufi"

Pesaro, 14 ottobre 2020 - Il tartufo all’epoca del Covid? Viaggia verso l’Asia e verso la parte più commerciale e lussuosa della Cina: Honk Kong. "E’ l’Asia che ci salva", sentenzia Giorgio Marini di Acqualagna tartufi, uno dei commercianti più importanti in Italia che serve tante fiere, da Alba a Savigno, il quale spiega l’andamento dei mercati: "L’Asia assorbe la gran parte dell’export, quasi a volere reagire alla pandemia. New York, che era la prima piazza americana, adesso è ferma, al contrario di Los Angeles. Il consumo di tartufo in Inghilterra, altro mercato di riferimento, è crollato, così come a Roma e in altre metropoli. In compenso Honk Kong chiede grandi esemplari di tartufo bianco pregiato così come Shangai dove abbiamo clienti ristoratori che poi rivendono il tartufo a non meno di 3500 dollari al chilo. Per capire la differenza di potenziale di spesa, una grattata di tartufo sulla tagliatella a Shangai viene pagata anche 200 dollari, mentre da noi quindici o venti euro".  

I prezzi sono notevolmente inferiori rispetto ad altre stagioni di emergenza, in cui il tartufo era quotato fino a cinquemila euro al chilogrammo: "In questo momento – spiega Marini – si trovano belle pezzature a duemila euro al chilo, mentre per i grandi esemplari si arriva a 2.500. Proprio a Honk Kong era finito giorni fa un nostro tartufo di mezzo chilo, acquistato da un ristorante tre stelle Michelin: è stato pagato 1500 euro al chilo e l’hanno rivenduto al doppio". Le Marche restano il primo mercato mondiale all’ingrosso: ovvero da qui parte o transita un quantitativo enorme di tartufi per le fiere nazionali e internazionali. Solo Acqualagna (niente fiera, ma gran tartufo nei ristoranti), ne commercializza attorno ai 700 quintali all’anno, ma se aggiungiamo Sant’Angelo in Vado, Pergola e Amandola, che formano il quadrilatero d’oro marchigiano, si supera abbondantemente i mille quintali all’anno che comprendono tutte le tipologie di tartufo.

Il fatturato? Solo ipotizzabile, visto che non ci sono dati ufficiali: attorno ai 50 milioni di euro. Bruno Capanna è il presidente dei cavatori dell’Appennino marchigiano, un esercito che ogni giorno, con vanghino e ruscella, cava l’oro della tavola dalla terra: "I tesserini rilasciati nella nostra regione sono 12.500 – dice – mentre in Italia sono 90.000. I paganti, ovvero coloro che pagano la quota tessera ogni anno, sono 3.500. In Italia il fatturato è di 180 milioni di euro, con trecento aziende di trasformazione e mille occupati stabili. La produzione nazionale è di 200 tonnellate".

La nuova legge, spiega Capanna, "risolve il problema fiscale: il tartufaio paga 100 euro all’anno all’agenzia delle entrate, e così vene esonerato dal pagamento dell’Iva. Questo reddito non è cumulativo con altri redditi e non è tassato fino a 7000 euro. Il commerciante rilascia una ricevuta, inserisce il dato del tartufaio e deve conservare questa ricevuta, ma non deve presentarla come dichiarazione dei redditi. La quota dei 100 euro vale per la raccolta di tutti gli altri prodotti naturali del bosco".

Capanna invoca infine controlli: "In Piemonte i tartufi si possono raccogliere anche di notte, nelle Marche no, solo dall’alba in poi. Si capisce che i tartufai piemontesi sono favoriti. Chiediamo alla Regione Marche di liberalizzare gli orari. Tanti vanno a tartufi di notte anche da noi anche se non si può".