Terapia plasma coronavirus, Burioni. "Risultati incoraggianti, ma aspettiamo"

Le cure della speranza contro l'epidemia

Il virologo Roberto Burioni

Il virologo Roberto Burioni

Pesaro, 8 maggio 2020 - In questi giorni si parla molto dell’utilizzo del plasma iper-immune come possibile terapia contro il Coronavirus. Se ne è occupato anche il professor Roberto Burioni, che ha dedicato a questo tema un suo intervento sul sito Medical Facts. «Siamo stati aggrediti da un virus completamente nuovo, ma contagiosissimo – afferma Burioni – Per questo siamo stati costretti a reagire con le armi più antiche che possono sembrare grossolane, ma che talvolta non mancano di efficacia». Il virologo dell’istituto Vita-San Raffaele di Milano si riferisce alla sieroterapia che il dottor Emil Von Behring nel 1891 somministrò con successo ad una bambina stava morendo di difterite in una clinica di Berlino. 

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Da allora questa cura ha avuto successo contro tetano, rabbia, epatite A e B, rivelandosi tuttavia inutile in altre malattie, come l’Aids e l’epatite C. «In questo momento disperato – spiega Burioni – si sta tentando di percorrere questa strada anche per il Coronavirus. Si prende il plasma di un guarito, che è tutto quello che c’è nel sangue tolti globuli rossi, globuli bianchi e piastrine, si verifica la presenza degli anticorpi e lo si somministra ai malati. I risultati preliminari di questa pratica sembrano incoraggianti ma ancora riguardano gruppi estremamente esigui di 5, 10 e 6 pazienti. E soprattutto – aggiunge il virologo – manca il fondamentale ‘braccio di controllo’, ovvero i risultati registrati nei pazienti che invece ricevono il ‘placebo’, in questo caso il siero di individui sani. Proprio per questo sono in corso sperimentazioni in tutto il mondo che ci daranno una risposta chiara a questa domanda».

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Insomma, anche se questa terapia è molto promettente, occorre estenderla a una platea più ampia di persone e soprattutto capirne i limiti. «Intanto – avverte Burioni – non pensate al plasma di un donatore come qualcosa di facile da preparare o di economico: è vero l’esatto contrario. Bisogna selezionare accuratamente i pazienti, preparare il plasma, sincerarsi che questo non trasmetta altre malattie infettive, valutare la quantità di anticorpi neutralizzanti il virus e anche escludere la presenza di anticorpi che possano danneggiare le cellule della persona che riceverà la donazione. Inoltre – aggiunge – i diversi preparati sono difficili da standardizzare: in altre parole il contenuto di anticorpi sarà diverso da una preparazione all’altra e questo diminuirà in alcuni casi l’efficacia perché, pur somministrando la stessa quantità di plasma, ci sarà una diversa quantità di ‘principio attivo’.

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L’altro elemento sfavorevole è il numero dei donatori: «Solo chi è guarito può donare il sangue e quindi le quantità disponibili sono per ovvi motivi molto limitate». Inoltre, questa pratica non è priva di controindicazioni: «Oltre alla presenza di anticorpi ‘dannosi’ di cui abbiamo parlato prima, le somministrazioni di plasma possono alterare i processi della coagulazione. In un paziente Covid19 dove questa funzione appare disturbata e bisogna avere particolare cautela». Tuttavia, se questa cura funzionasse, sarebbe una cosa fantastica: «Intanto – elenca Burioni – avremmo il primo rimedio specifico contro il Covid19, aprendo a uno sviluppo interessantissimo, quello dei sieri prodotti in laboratorio isolando i geni dei guariti grazie al clonaggio di anticorpi monoclonali umani».

A questo punto avremmo un «siero artificiale» che contiene una quantità esatta e sempre identica di anticorpi efficaci e non conterrebbe nessun «anticorpo pericoloso». «Ma per raggiungere questo obiettivo – conclude – ci vogliono risultati validati e soprattutto tempo. Speriamo di poterla utilizzare presto».