Terremoto Pesaro, il sismologo: "In quella zona si può arrivare a 5.5 di magnitudo"

Intervista al sismologo Tondi: "La faglia è piccola e nella storia ci sono state due scosse importanti, superiori a quella dell’altroieri". E poi gli occhi puntati sulla prevenzione: "Le Marche sono sismiche, non possiamo ricordarcene solo quando la terra trema"

Il professor Emanuele Tondi, sismologo

Il professor Emanuele Tondi, sismologo

Pesaro, 31 ottobre 2021 - "Dobbiamo sempre lavorare sulla prevenzione, piuttosto che preoccuparci solo quando c’è un terremoto". Il professor Emanuele Tondi è il responsabile della sede Ingv (Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia) dell’Università di Camerino. E all’indomani della scossa che ha fatto tremare la provincia di Pesaro e Urbino insiste su raccomandazioni che troppo spesso – dice – dimentichiamo anche in una regione sismica come le Marche.

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Professor Tondi, ripartiamo dai numeri della scossa di venerdì. "E’ stato un terremoto di magnitudo modesta, 4.3 magnitudo “locale” e 4.1 di magnitudo ‘momento’: due modi diversi di calcolarla. L’ipocentro è stato individuato a 38 km, una profondità notevole se paragonata a quelle tipiche dell’Appennino centrale, dove solitamente i terremoti sono più superficiali, con ipocentro localizzati nei primi 10 km della crosta terrestre".

L’epicentro è stato registrato a Montefelcino: in quell’area c’è una faglia? "Sulla base delle conoscenze che abbiamo, si tratta di una faglia diretta, simile a quella del Monte Vettore che ha generato il terremoto del 2016. E’ comunque una faglia piccola, che non arriva in superficie".

Questa similitudine con il Vettore fa preoccupare? "La similitudine tra faglie non significa che la pericolosità sismica sia la stessa".

Ci spieghi. "La faglia è una frattura che divide due blocchi di roccia. In quella diretta, un blocco si abbassa rispetto all’altro generando il terremoto, come è successo in questo caso, ma anche nel 2009 a L’Aquila e nel terremoto del 2016. Nel 2012, invece, in Emilia si trattò di una faglia inversa: in tal caso un blocco di roccia si solleva rispetto all’altro. Questo è il meccanismo che alla lunga dà vita ai rilievi".

Bene, ma torniamo al concetto terra terra: quanto c’è da preoccuparsi? "In questa zona ci sono stati due terremoti avvenuti in passato, uno nel 1897 e l’altro nel 1924. Entrambi ebbero magnitudo stimata di 5.5. E la consideriamo la magnitudo massima dell’area".

Ecco: 5.5 non è poco. "E’ intorno al limite di un terremoto che può provocare danni importanti".

Ma chi dice che in una zona non ci possa essere un terremoto più forte del massimo storico raggiunto? "Consideri che noi abbiamo uno dei cataloghi storici più lungo e completi del mondo sui terremoti: parliamo di duemila anni. Se non si è mai verificato un evento di intensità superiore a quella nota, quantomeno lo consideriamo un evento rarissimo".

Ma non impossibile? "In alcuni casi, pur in assenza di un terremoto molto forte documentato nella storia, ci aiuta l’informazione geologica, come la presenza di faglie attive o forme e processi legati alla tettonica, fattori che ci permettono di valutare la pericolosità sismica a prescindere. Ma non è il caso della zona in questione"

Quali sono le altre aree a rischio della provincia? "Quest’area risente di terremoti un po’ più forti che si generano lungo la costa: come nel 1916, quando il terremoto ebbe una magnitudo stimata 5.8 . E poi l’area a nord di Ancona fino a Fano: proprio oggi (ieri per chi legge) cade l’anniversario del terremoto di Senigallia del 30 ottobre 1930, magnitudo stimata 5.8".

Tornando alla scossa di venerdì, paradossalmente nella zona dell’epicentro, a Montefelcino, in molti non l’hanno avvertita. "In un terremoto con ipocentro a circa 40 km, l’area di risentimento è molto ampia: significa che una grande zona sente più o meno la stessa intensità. Poi ci sono terreni, per esempio quelli sciolti e poco densi, come sabbia e ghiaia, che possono amplificare le onde sismiche anche di due-tre volte. Invece terreni più compatti, come la roccia, non amplificano le onde sismiche e quindi il terremoto sembra più piccolo se confrontato con le altre zone".

Torniamo all’inizio: lei insiste sempre sulla prevenzione. Ma tecnicamente come si deve fare? "Visto che si conosce la pericolosità sismica del nostro territorio, occorre informarsi sulla vulnerabilità degli edifici che si abitano. La verifica è di competenza degli ingegneri strutturisti, magari con la consulenza di un geologo per la valutazione delle possibili amplificazioni locali".

E i Comuni cosa devono fare? "I Comuni (insieme a Provincia e Regione) devono fare la stessa cosa per quanto riguarda gli edifici pubblici, come le scuole, per esempio. Inoltre, oramai in molti Comuni marchigiani è disponibile La microzonazione sismica, uno strumento fondamentale di pianificazione territoriale, che consente di conoscere le aree che, in base alle caratteristiche geologiche dei terreni, amplificano le onde sismiche".