Pesaro, 10 marzo 2025 – Il 23 ottobre 2011, al Circuito di Sepang, perse la vita Marco Simoncelli, a 24 anni, durante un incidente di gara nel Gran Premio della Malesia. Una dinamica inusuale, causata dalla ruota posteriore della sua moto che riprese aderenza cambiandone direzione. Marco si ritrovò così sulla traiettoria di chi lo seguiva da vicino. Tra questi Colin Edwards e l'amico Valentino Rossi che non riuscirono a evitarlo.
Le parole di Carlo Pernat
In un' intervista de Il Secolo XIX, Carlo Pernat, ex dirigente e storico manager di piloti del motomondiale, ripercorre quanto fu tragico quel periodo, anche per Valentino Rossi, il campione di Tavullia (Pesaro) che ha vinto nove volte il titolo mondiale. E ricorda anche aneddoti su di lui, dalla prima volta che si sono conosciuti.
Amicizia e coraggio
“L’amicizia con Valentino ha incominciato un po’ a incrinarsi quando lui lo metteva dietro in qualche gara. Sai, non c’è cosa peggiore quando un amico ti batte – dice Pernat -. Anche se poi erano amicissimi. Lo chiamavano ‘il patacca’ ma nel senso buono perché era uno molto ingenuo, ma era amico di tutti. Era amato. Tanto è vero che poi è stata fatta una fondazione che incassa quasi 2 milioni all’anno.
Quando lui è morto, io ho vissuto due mesi in casa sua, non son più tornato a Genova perché ero legatissimo alla famiglia, padre e madre, e cercavo di dargli una mano. Per quei due mesi Valentino non si è mai visto, non ha mai telefonato, e il papà era incavolato… c’era rimasto male male male. Io sapevo però cos’era successo”.
Il peso della colpa
"Siccome l’ultimo colpo con la ruota gliel’ha dato lui – prosegue –, si sentiva praticamente in colpa di averlo ucciso. E non riusciva a capacitarsi di questa cosa. Poi dopo due mesi e mezzo si presentò a casa di Marco, c’ero anche io lì e abbracciò il padre e gli disse: ‘Scusami, sono stato io’.
Ha vissuto male in questo periodo, secondo me se lo sta portando ancora dietro perché è una cosa che gli è rimasta in testa, era il suo migliore amico. Credo che ha segnato qualcosa anche proprio in Valentino perché poi non è stato più lo stesso. Io volevo smettere di lavorare, non l’ho mai detto a nessuno. Volevo smettere di lavorare ed ero lì lì per farlo. Mi convinse il papà, mi disse: ‘Carlo, io continuo e continui anche te’. Ci siamo salvati a vicenda”.
Il rapporto con Valentino Rossi
Pernat parla poi della prima volta con Valentino: “È stato un divertimento perché guarda, lui era un raccomandato di ferro, sono andato a vederlo e correva a Misano, in un campionati europeo. Porca miseria ragazzi, questo qua aveva delle traiettorie incredibili, cioè faceva delle traiettorie che nessun pilota faceva però andava spesso per terra.
Non era facile facile, però mi innamorai di lui, mi piaceva per quel modo di guidare assurdo e anche se cadeva però lo vedevi che aveva un talento che gli altri non avevano. Pensa che all’inizio tra l’altro lui non sapeva andare sull’acqua. Tant’è vero che quando c’erano le prove che pioveva si chiudeva nel caravan, non usciva. Abbiam dovuto insegnargli ad andare sull’acqua nei circuiti quando pioveva.
Se mi avessero detto che lui avrebbe vinto nove mondiali t’avrei detto no, che lui fosse un fenomeno e forte sì, ma che andasse a vincere nove mondiali…. Siccome io ero genoano, e lui era un rompipa…. Allora faceva il sampdoriano e lo dichiarava anche sui giornali. Nel ’97 quando ha vinto il mondiale mi chiamò la Fassio, la direttrice di marketing della Sampdoria: ‘Noi facciamo la presentazione della squadra e vorremmo Valentino’. Mi è venuto un colpo, genoano come sono. ‘Vabbè, vediamo, ne parleremo’, le ho detto. Non l’ho mai detto a Valentino. Mai, te lo giuro. L’ha saputo un anno dopo, si è messo a ridere, chiaramente!”.