“Verrà il giorno, verrà la notte“ Per Delle Rose la pittura è filosofia

L’artista in mostra ai Musei Civici di Pesaro fino al 12 giugno, in un percorso curato da Bruno Ceci

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di Cecilia

Casadei

L’arte di Antonio Delle Rose in mostra ai Musei Civici con “Verrà il giorno verrà la notte“, un titolo mutuato da una lirica composta dallo stesso autore e la cura di Bruno Ceci. Le donne, gli uomini del ciclo figurativo di un pittore che riflette sulla forma e l’essenza della natura umana. La sua capacità tecnica e stilistica per restituirci lo spirito vitale di una serie di personaggi nella dimensione ciclica del divenire. Il loro non essere una semplice presenza per una vibrante traduzione visiva che restituisce bellezza. Caratteri in grado di darci la cifra e il valore di una nobile produzione artistica, di consegnarci la poetica dell’interprete di un’arte che si svela come viatico, sintesi perfetta di un racconto che abbraccia l’umano nelle sue sfaccettature.

Nato a Lecce nel 1953, Delle Rose vive e lavora a Pesaro, pittore e poeta con numerose pubblicazioni al suo attivo, l’aspetto composto, il fare elegante e fors’anche un poco austero, il mestiere della pittura gli consente di entrare in un territorio di libertà e di vivere l’arte come testimonianza, privilegio, irrinunciabile aspetto dell’esistenza. Intorno alla fine degli anni ’90, dopo il linguaggio informale con cui esordisce nel contesto dell’arte visiva, e un percorso espositivo con cui ha fatto tappa anche a New York e Dusseldorf, sente forte il bisogno di riappropriarsi della figurazione, di tornare "all’ordine" del linguaggio pittorico. Sostenuto dal disincanto che lo mette al riparo da linguaggi provocatori e sensazionalismi del presente, Delle Rose crea una galleria di personaggi maschili e femminili in una ammaliante pluralità di riferimenti estetici.

Dipinge volti e figure di uomini e giovani donne che colloca in un raffinato impianto narrativo e guai a chiamarlo artista, un termine che preferisce lasciare all’ambiguità del contemporaneo. I disegni e i grandi oli del percorso espositivo riflettono la sensibilità e la profondità intellettuale dell’autore, restituiscono un policromo orizzonte che esalta il linguaggio della pittura. Tele che restituiscono una narrazione intrisa di sincerità, di apertura mentale, di uno sguardo capace di penetrare il dato visivo, di indagare la versatilità umana. Sfilano davanti a noi figure che esprimono la complessità dell’esistente, l’oscurità e la luce come momenti dello spirito, metafora di un dualismo che si sviluppa tra amore e morte.

Curata da Bruno Ceci, “Verrà il giorno verrà la notte“ è il titolo della mostra mutuato da una lirica composta dallo stesso Delle Rose. I suoi personaggi sono vivi, ci parlano, spesso sfuggono il nostro sguardo, raramente ci guardano, fissano un altrove al di fuori del quadro, oppure lo sguardo è quello lontano dell’uomo con cappello, il soprabito sul braccio, le dita di una mano aperte come nell’atto di sottolineare una argomentazione. Nemmeno l’uomo con giacca gialla, (un inconsapevole autoritratto?) e cravatta "regimental" ci concede il suo sguardo, così la donna inserita in una cromatica dimensione gialla, e guardano verso l’alto gli occhi splendidi di una giovane donna immersa nel blu. Ad emergere è l’anima dei suoi personaggi come uno scrittore fa con le parole e una velata malinconia accompagna spesso ogni sguardo. I suoi non sono ritratti, "non sono un realista, io dipingo un pensiero, un’idea", precisa con forza, sono la rappresentazione di un mondo introiettato che Delle Rose si porta dentro, e c‘è spesso la presenza di un bambino e quasi sempre l’accenno ad una figura maschile che compare in secondo piano e in modo parziale quando è la donna ad essere protagonista, e viceversa. Sono l’uomo e la donna in un eterno dialogo e in eterna lontananza, sono il legame tra le persone e la vita della natura, quando noi stessi siamo natura. C’è il richiamo al mondo della natura e sono le foglie di un abito femminile, le rose sullo sfondo che sfondo non è e diviene sostanza, traliccio compositivo dell’opera. E ci sono dei vuoti come pause di un discorso.

Un aspetto importante del suo lavoro è quello dei diversi piani prospettici evidenziati dal colore materico, da strati di intonaco come stessero per distaccarsi. "Io utilizzo una prospettiva non geometrica, non spaziale, ma temporale" e compaiono dei segni come impossibili riferimenti zodiacali, segni stranianti, indici di contenuti enigmatici che ci conducono in un contesto immaginario, concettuale, un poco misterioso. Calate in un eloquente silenzio e una intensa composizione, sono figure sovradimensionate che si consegnano alla nostra vista come in una onirica, imponente scenografia. Figure che possono avere un colore della pelle irreale e ci ricordano, talora, quelle del teatro pittorico di Alberto Sughi, quando l’incantamento del colore non cancella l’oscuro della notte. Anche in questo risiede la forza di una pittura che ci restituisce quello che pensavamo di avere perduto.