Corsari e pirati: c’era da aver paura

Quando nelle nostre coste si correva il rischio di rapimenti. Il fenomeno raccontato dal professor Salvatore Bono

Pirati lungo le nostre coste

Pirati lungo le nostre coste

Pesaro, 7 gennaio 2020 - Oggi la spiaggia evoca ombrelloni e doposole, non più quel complesso di modeste attività di raccolta e pesca di cui anni fa trattò il compianto Umberto Spadoni in Economia delle rive, volume della collana "Costellazione". Ma secoli addietro bisognava stare attenti alle vele di passaggio per paura dei "saraceni": e di pirati e razzie tratta appunto Salvatore Bono, grande studioso del tema, che più esattamente parla però di corsari.

La differenza è rilevante?

"La differenza fra corsari e pirati è netta sul piano teorico, Di fatto svolgono lo stesso tipo di guerriglia, fra assalti di imbarcazioni e razzie a terra, ma i corsari hanno l’autorizzazione (la "patente") dal proprio governo e rispettano i termini di quella autorizzazione, come facciamo (o dovremmo fare noi) con la patente automobilistica, rispettando cioè un codice della strada e la segnaletica. Se infrange i termini entro i quali è stato autorizzato (opera in una zona di mare non inclusa nella sua patente, assale una nave la cui bandiera è tenuto a rispettare) un corsaro diventa un pirata".

Salvatore Bono tra pirati e corsari
Salvatore Bono tra pirati e corsari

Le vittime coglievano la differenza?

"Chi veniva assaltato, depredato delle merci o persino reso schiavo, poco cambiava se chi lo aggrediva era un fuorilegge o se erano corsari algerini regolarmente autorizzati dal governo di Algeri, a sua volta internazionalmente riconosciuto dai governi europei (che firmavano trattati di commercio, di "assistenza tecnica", persino di alleanza). Ma definendo correttamente i corsari e togliendo a quel tipo di guerra, meglio guerriglia, ogni senso di illegalità e di riprovazione, dobbiamo – come faccio nel mio libro – considerare e chiamare corsari quelli di Algeri e anche quelli di Malta (privati autorizzati o 'governativi', cioè i Cavalieri) o i cavalieri toscani di Santo Stefano; e così via di ogni paese, riva, religione".

Leggendo il suo nuovo libro, "Guerre corsare nel Mediterraneo" (edizioni il Mulino, 20,40 euro, 303 pagine), si scopre una realtà complessa che va ben al di là, come a volte si crede, di una guerra di religione a bassa intensità.

"La guerra corsara non ha diretta connessione con il fatto religioso. La guerra corsara è esistita prima di Maometto cioè prima dei musulmani, prima di Gesù cioè prima dei cristiani, anche prima di Mosè e di Abramo, nella più lontana preistoria. Che la differenza religiosa possa aver dato uno sprone in più, una 'copertura' o una 'benedizione', si può aggiungere, ma non è alla radice del fenomeno".

Forse anche Ulisse praticava la pirateria?

"Quando sbarca gli chiedono se è un mercante o un pirata, senza offesa, un mestiere come un altro".

Dalle sue pagine si deduce che uno dei possibili profitti fosse la cattura di schiavi, ma anche le merci e le stesse navi.

"Nel Mediterraneo, dove i corsari o pirati non trovavano merci di valore se non per raro caso (mentre sull’Atlantico si predavano i ricchi galeoni sulla rotta delle Americhe), la ricchezza maggiore erano gli esseri umani, catturati da ambedue le parti e utilizzati come forza lavoro o come strumento di piacere sessuale (donne, bambini, uomini) dagli uni e dagli altri".

Miguel de Cervantes
Miguel de Cervantes

Tra gli schiav i si trova perfino Miguel de Cervantes, però a lui e a molti è stato possibile il ritorno, cosa che non avviene invece con la tratta dei neri verso le Americhe.

"Gli schiavi europei in gran parte tornavano mediante pagamento di un riscatto. Vi erano ordini religiosi e confraternite che negoziavano i riscatti, per esempio nello Stato pontificio operava l’Arciconfraternita del Gonfalone di Roma, dal cui archivio anni fa sono partite le mie ricerche. Cervantes, schiavo ad Algeri, in quella città incontrò un letterato italiano, Antonio Veneziano. Allora erano circa 20.000 schiavi cristiani ad Algeri, come erano 10-12.000 i musulmani a Napoli. Perfino san Vincenzo de’ Paoli è stato schiavo. Non è sicuro sia lo sia stato davvero, sto per pubblicare un libro in cui racconto la storia come un giallo, ma propendo a non credere vero ciò che racconta lo stesso san Vincenzo in due lettere sicuramente scritte da lui".

Molti "turchi" erano in realtà dei "rinnegati", come si diceva allora. Il calabrese Giovanni Galeni, per esempio, è diventato il temuto Uluç Alì (a volte traslitterato in Occhialì), e oggi nel suo paese – Le Castella, frazione di Isola Capo Rizzuto – lo ricorda un monumento.

"Un editore attende un mio libro su Occhialì (che brutta trascrizione: è più corretto Uccialì), il calabrese, rapito a 16 anni, che per in turchi è diventato uno dei loro più grandi eroi".

Pirati
Pirati

Una sorpresa del suo studio è che il fronte cristiano – per capirci – non è affatto unito, anzi non è neanche un fronte. Francia contro Spagna, cavalieri di Malta contrapposti a Venezia per le diverse politiche degli uni e dell’altra, eccetera...

"Quando gli storici europei trattano dei rapporti con ottomani e barbareschi tendono a vedere e presentare un fronte unitario europeo; ma in realtà gli europei, e pure gli italiani, erano divisi. La Francia ad esempio era piuttosto alleata dell’impero ottomano e si 'barcamenava' con i barbareschi, così anche Venezia".

L’ultimo capitolo del suo libro racconta l’evoluzione della narrazione storiografica, in Europa e nel Maghreb. Gli storici arabi e del Maghreb pare abbiano introitato un senso di colpa – se così si può dire – per la loro plurisecolare guerra di corsa. È così?

"Sì, gli storici arabi contemporanei hanno recepito, piuttosto inconsapevolmente, la nostra "condanna" e il disprezzo verso i "pirati" e perciò non vogliono parlare dei loro corsari, invece di esaltarli come grandi capitani e abili ammiragli e come eroi della loro storia".

Di tutto ciò parla Salvatore Bono, autore di Guerre corsare nel Mediterraneo, presentato a Pesaro giovedì 9 gennaio 2020 alle ore 17,30 nella sala convegni di palazzo Ciacchi (via Cattaneo, 34) nella serie "Pesaro Storie" della Società pesarese di studi storici.