Presentato a Berlino il film 'Le proprietà dei metalli', scritto e diretto da Antonio Bigini

E’ uno dei tre film italiani presenti alla kermesse, è ambientato negli anni ‘70 e parla di un bambino ‘minigeller’, che è capace di piegare i metalli: il trailer

Pietro (Martino Zaccara) in una scena del film

Pietro (Martino Zaccara) in una scena del film

Urbino, 20 febbraio 2023 - È stato presentato oggi al 73° festival del cinema di Berlino il lungometraggio ‘Le proprietà dei metalli’, scritto e diretto dall’urbinate Antonio Bigini, in concorso nella sezione Generation Kplus, uno dei tre film italiani presenti alla kermesse, assieme a ‘Disco Boy’ di Giacomo Abruzzese, a un film d’animazione e a un documentario. Abbiamo raggiunto al telefono il regista quarantaduenne nel giorno della premiere.

Bigini, se lo aspettava di esordire nel contesto della mostra di Berlino? “Ci speravo, ma è stata comunque una sorpresa. È un grande regalo poter essere qui a rappresentare l’Italia. Ci sono poche altre pellicole italiane quest’anno. Esserci è un onore, ancor di più per essere l’unica produzione totalmente italiana, grazie a Kiné e Rai Cinema”.

Che film ospita la sezione Generation Kplus? “Si concentra sul mondo delle nuove generazioni, come pubblico o in quanto attori, come nel mio caso in cui i protagonisti sono dei bambini. Per esattezza un bambino, Pietro, interpretato da Martino Zaccara. Vive col padre e il fratellino nella provincia italiana degli anni ’70 ed è oggetto di studio di due professori universitari perché manifesta apparenti doti paranormali, in particolare piega i metalli”. Da qui il titolo del film. Dunque su che vicende si basa? “È un tema poco noto. L’idea è nata per caso, anni fa conobbi la vedova di un esperto di parapsicologia che mi raccontò tante vicende indagate dal marito. Tra queste, quella dei bambini detti ‘minigeller’ che vennero studiati negli anni ’70 dal professor Ferdinando Bersani perché pareva piegassero i metalli col pensiero”. Era vero? “Furono condotti esperimenti che però non provarono l’esistenza di nessun fenomeno soprannaturale. Però la storia mi ha incuriosito e ho deciso di approfondire e realizzare il film”. ‘Minigeller’ cosa significa? “Prende spunto dall’illusionista Uri Geller, che in quegli anni sosteneva di possedere doti paranormali tra cui piegare metalli. Le sue ospitate televisive ebbero molta presa e diversi ragazzini manifestarono doti all’apparenza simili, che vennero appunto studiati a livello scientifico da ricercatori e docenti, come viene rappresentato dal film nel caso di Pietro”. Com’è stato lavorare con piccoli attori? “Bellissimo: la cosa più entusiasmante del set. I bambini sono spontanei e naturali. Non hanno filtro e portano un sacco di gioia. E se il copione ha delle pecche, con loro lo scopri subito. Diverse volte mi sono trovato a riscrivere la scena dieci minuti prima di girare”. Oltre a Bologna, tante location appenniniche, vicine alla sua terra d’origine. “Grazie al supporto delle regioni Toscana e Emilia Romagna ho potuto girare in luoghi che ricordano Urbino, la mia città d’origine. L’appennino tra il Montefeltro romagnolo e la Toscana presenta paesaggi bellissimi, a tratti aspri, che rispecchiano il clima familiare del protagonista. Gli attori bambini sono tutti della zona, tra Rimini e Urbino, come la piccola Sara Santamaria o Edoardo Marcucci, che interpreta il fratellino di Pietro”. Il film fa luce sulla vicenda dei ‘minigeller’? “Riguardo al fenomeno attorno a cui ruota la trama, il film non si schiera. Rimane un punto di domanda che lascio al pubblico. Tutta la vicenda, negli anni ’70, rimase irrisolta e non spetta certo a noi oggi dire cosa successe. Poi ci sono le vicissitudini specifiche del protagonista che lascio scoprire a chi vedrà il film”. Il film ha una visione anche socio-antropologica. “Ci fu all’epoca uno studio sulle condizioni psico-sociali dei bambini che manifestavano le doti. Tutti avevano in vario grado condizioni di disagio che poteva essere economico, affettivo, sociale, familiare. Una delle teorie infatti fu che i ragazzini volessero attirare l’attenzione per evadere dalla situazione disagiata in cui versavano. Era giusto presentare nel film la vicenda anche da questa prospettiva”. Prima di questo film, cosa ha fatto? “Vengo da Urbino, dove durante il liceo classico ho iniziato ad appassionarmi di cinema. Frequentavo le tre sale cittadine e noleggiavo le vhs in videoteca. Poi sono andato a studiare a Bologna e mi sono immerso nelle rassegne della cineteca. Nel tempo è iniziata la collaborazione con Kiné di Claudio Giapponesi, che è il produttore anche di questo film. Con loro ho realizzato alcuni documentari e diversi progetti. Negli ultimi anni, mentre lavoravo al film, ho collaborato con la cineteca di Bologna per diverse mostre sulla storia del cinema”. Quali registi la ispirano? “Tanti. Per questo film, ho attinto da Truffaut, ma anche da ‘Lo spirito dell’alveare’ di Victor Erice”. Quando sapremo l’esito del festival? “Domenica. Incrociamo le dita”. Quando nelle sale? “Dal 9 marzo, distribuito da Lucky Red”.