Ercolani: "Torneremo ancora a vedere il mare"

La riflessione del filosofo: "Il Covid-19 ci ha messo di fronte al virus che era già dentro di noi"

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Pesaro, 22 marzo 2020 – Pesaro è il mare. O almeno è sempre stato così per me, fin da quando l’ho vissuta tutte le estati a partire da quel lontano 1972. Poi ci ho abitato , costruendovi alcune delle amicizie più forti e sincere, salvo poi trasferirmi per più di un decennio a Cagli, città di nascita di mia madre. L’avevo passata proprio a Pesaro la mattina in cui scoprii che il Liceo Marconi, dove insegno parallelamente all’Università di Urbino, era stato il primo a far registrare uno studente positivo al Coronavirus. Si trattava dell’inizio dell’incubo per queste terre da me molto frequentate e amate. Pesaro e la sua provincia, infatti, cominciavano ad essere colpiti da quel virus esterno alla società e invisibile, di cui al momento conosciamo troppo poco: da dove origina, di che natura sia, ma soprattutto come sconfiggerlo. Quello che però è emerso chiaramente, nella nostra provincia come in altre zone d’Italia, è che il Covid-19 ci ha messo di fronte a un ben altro virus, in questo caso interno alla nostra società e ben visibile a chiunque non voglia nascondere la testa sotto al terreno. Sto parlando di un virus culturale, i cui danni si sono prodotti lungo ormai più di due decenni, fino a consentire al Corona di trovare un terreno fertile su cui dispiegare con maggiore efficacia i propri drammatici effetti. Innanzitutto conviene sottolineare il fatto di una politica che si è sottomessa alla logica quantitativa e impersonale imposta dalla finanza. Quella per cui contano soltanto i numeri e tutto, a cominciare dall’essere umano e dai suoi bisogni, può essere sacrificato sull’altare dell’entità astratta che risponde al nome di "mercato". In questo caso gli effetti li abbiamo potuti vedere rispetto a una sanità pubblica che è stata martoriata dalla chiusura degli ospedali (cosa di cui ha patito soprattutto l’entroterra), ma in generale da tagli economici che hanno depotenziato la capacità dei nostri ospedali (quelli rimasti aperti) e del personale che vi lavora di fare fronte alle emergenze. Credo dovrebbe farci riflettere tutti l’assistere a un contesto sociale in cui i parcheggi degli ospedali sono a pagamento e quelli dei centri commerciali perfettamente gratuiti, o dove molti lavoratori delle fabbriche e del settore privato sono costretti ad andare a lavorare neanche fossero residui umani sacrificabili alla produzione. Come spiegare, a queste persone e al rischio per le loro vite e per quelle dei loro famigliari, che la retorica dell’"io resto a casa" non vale nel loro caso? In secondo luogo dobbiamo fare riferimento al graduale ma inesorabile impoverimento a livello culturale, quello per cui si è conferita sempre meno importanza alla competenza, alla preparazione, alla qualifica delle persone chiamate a ricoprire ruoli delicati all’interno della società. Il tutto per privilegiare troppo spesso appartenenze politiche, nepotismi, cooptazioni varie che nel momento stesso in cui garantivano determinate consorterie o interessi, indebolivano in maniera irreparabile il tessuto della società. Fino a che, poi, non si presenta inaspettata una drammatica emergenza sanitaria, e allora scopriamo sulla nostra pelle quanto è fondamentale disporre di servizi pubblici sani e funzionanti, di amministratori che sanno prendere le misure opportune, di ricercatori, medici e figure professionali in grado di studiare il problema e approntare la necessaria assistenza alle persone. Quanto è fondamentale anche usufruire di insegnanti qualificati e meritevoli a ogni livello (Università compresa), perché loro è il compito di educare e formare anche in senso civico dei cittadini i cui comportamenti non siano egoisti, irresponsabili e pericolosi per se stessi e per l’intera comunità, specie di fronte a un’emergenza. L’essere umano che si interessa alla filosofia, cioè alle grandi questioni di senso, sa che questo istinto deriva fondamentalmente da due spinte: la meraviglia (come insegnavano Platone e Aristotele) oppure il dolore (secondo la lezione di Leopardi, Schopenhauer e Nietzsche). Mai come oggi siamo chiamati a sconfiggere il virus culturale della nostra società, sapendo che solo in questo modo creeremo le condizioni perché la meraviglia dell’umanità prevalga sul dolore delle disgrazie. E torneremo ancora a vedere il mare.