Berloni, c'erano ordini e commesse. La liquidazione è un giallo

Nessuno comprende le motivazioni: l’azienda stava marciando ad un ritmo di cento cucine la settimana. I mancati contract promessi ma mai arrivati

Berloni: sul monitor Michael  Chiu, lui ha deciso (Fotoprint)

Berloni: sul monitor Michael Chiu, lui ha deciso (Fotoprint)

Pesaro, 30 novembre 2019 - Una storia, forse anche un giallo questa messa in liquidazione volontaria delle Berloni Cucine. Se è vero da una parte che gli investimenti da parte dei tre soci taiwanesi sono stati alti – si parla di 35 milioni di euro –, così come è vero che il bilancio del 2018 avrebbe riportato un leggero passivo, è altresì vero che la fabbrica stava tornando a marciare a un ritmo di circa 100 cucine la settimana. Questo quello che emerge ascoltando i capi operai della Berloni. Una crescita, quasi tutta in italia, del 25% rispetto al 2018. Il tutto senza tenere conto che le famose promesse di contract, e cioè ‘vagonate’ di cucine da inviare in Oriente, non sono mai andate in porto negli ultimi 5 anni. Uno dei soci, il maggiore per quote (Michael Chiu, della holding Hcg), è infatti un grande costruttore edile con base a Taipei. Perché le promesse iniziali non sono mai andate in porto? Perché la responsabile finanziaria, chiamata da tutti Sharon, ha lasciato a fine estate lo stabilimento di Chiusa di Ginestreto dalla mattina alla sera senza fare più ritorno? Tutte domande senza risposta.

Comunque una situazione che stava precipitando già dieci giorni fa quando il consiglio di amministrazione si è tenuto nelle stanze del notaio Cimino, in piazza Lazzarini. Lì, non a caso, perché la messa in liquidazione volontaria della fabbrica deve essere certificata con un atto notarile. Dieci giorni di pausa di riflessione, ma le cose non sono cambiate perché l’altro ieri è stato firmato l’atto di morte di questo brand dell’arredo, tra i più popolari e noti del Paese. I soci taiwanesi non li ha visti nessuno e nessuno li ha sentiti. Tutto in mano, ora, ad uno studio di avvocati di Roma. E proprio da Roma arriva il liquidatore della società, il commercialista Alessandro Meloncelli.

L’unico filo conduttore tra Pesaro e Taiwan è la famiglia Berloni. Ma ieri mattina davanti ai cancelli della fabbrica, presente anche il sindaco, nessuno si è visto. Resta solamente il fatto che la messa in liquidazione volontaria della società ha tutto un percorso particolare, come per esempio quello che il tribunale resta fuori da questa partita. E tra le cose particolari di questa procedura c’è anche il fatto che la messa in liquidazione può essere revocata nel caso in cui i soci taiwanesi trovassero un accordo con passaggi di quote, oppure se dovesse spuntare un ‘cavaliere bianco’ in grado di portare finanziamenti.

Comunque lunedì la fabbrica resta chiusa e tutti gli 85 dipendenti restano fuori. Non si lavora. Anche se in teoria la chiusura dovrebbe essere immediata con la richiesta di mobilità per tutto il personale e quindi la liquidazione di tutti gli asset, dai capannoni al marchio. «Aspettiamo di capire e parlare con il liquidatore della società – dice Giuseppe Lograno della Cgil – e quindi comprendere come vogliono procedere i soci di maggioranza. Perché non siamo riusciti a parlare con la famiglia Berloni e nemmeno con qualcuno che parli a nome dei soci asiatici. Vediamo lunedì se arriva il commercialista da Roma. A quel punto si avranno le idee un po’ più chiare».

Chiarezza, appunto. Perché la vicenda, come ha detto anche il sindaco Ricci, ha avuto una evoluzione del tutto strana e inaspettata. Il governatore regionale Luca Ceriscioli ieri ha dato la sua massima disponibilità per venire incontro ai problemi delle maestranze ed ha anche aggiunto: «Berloni è un marchio storico della regione che ha contribuito a rafforzare nel mondo il Made in Italy e il Made in Marche, simbolo di una produzione di qualità e altamente qualificata. Facciamo fatica a capire esattamente quello che sta succedendo. Il nostro impegno, comunque, non verrà meno e non mancherà la nostra vicinanza nei confronti delle 85 famiglie dei lavoratori coinvolti in questa crisi aziendale».

Una doccia gelata che ha colto alla sprovvista tutti anche se alcuni professionisti hano parlato di una morte annunciata. Comunque prese di posizione e di solidarietà stanno arrivando un po’ da tutte le parti e, vista la notorietà del nome, il caso Berloni Cucine sta avendo un'eco nazionale. Anche Moreno Bordoni della Cna e presidente dell’azienda per l’internazionalizzazione della Camera di Commercio ieri ha inviato una nota per «esprimere sconcerto e viva preoccupazione per la decisione di porre in liquidazione l’azienda. Una decisione che oltre a creare una grave crisi occupazionale, rischia di creare un pericoloso effetto domino. Sono molte le piccole e medie imprese della subfornitura che hanno rapporti con il gruppo Berloni e che ora siburanno pesanti ripercussioni e vedranno ridursi notevolmente le proprie commesse».