Berloni cucine liquidazione, a Natale mezzo stipendio per gli operai

Oggi dovrebbe essere pagato il mese di novembre: in previsione 6-700 euro per 85 dipendenti. Ora emergono i verbali dell’ultimo cda tenutosi a Roma

La recente protesta degli operai della Berloni

La recente protesta degli operai della Berloni

Pesaro, 17 dicembre 2019 - Il Natale? Un piatto di lenticche per gli 85 operai della Berloni Cucine. Perché il liquidatore della società e cioè il professionista romano Alessandro Meloncelli pare che abbia assicurato un mezzo stipendio di novembre: si sta parlando di una cifra che oscilla tra i 6-700 euro.

Domani il tecnico incaricato di liquidare la società sarà di nuovo a Pesaro. Intanto la fabbrica va avanti a singiozzo perché in cassa non c’è un euro: si completano alcune cucine, si consegnano e con i soldi incassati si cerca di continuare. Lo scoramento è alto. E il ministero ancora non ha fissato l’incontro con la proprietà e i sindacati. Il sottosegretario Alessia Morani fa sapere che è in contatto con il liquidatore "e che ci sono contatti con potenziali investitori, ma nomi non se ne possono fare per un patto di riservatezza".

Intanto arriva agli atti ufficiali il verbale dell’ultima riunione che si è tenuta nello studio di un notaio romano, al termine della quale i soci di maggioranza e cioè gli imprenditori taiwanesi hanno deciso di mettere in liquidazione la società. In una mail messa agli atti, Roberto Berloni e cioè l’ad della società, scrive: "Il presidente è stato completamente latitante rispetto alle problematiche societarie e nella recentissima venuta in Italia si è preoccupato solo di visitare una società concorrente anziché visitare la Berloni o contattare il sottoscritto pur conoscendo lo stato di crisi della società. Allo stato i comportamenti degli autori e protagonisti sembranio più orientati a dismettere la società e valorizzare il solo marchio nell’interesse di terzi". Frasi che la raccontano lunga sullo stato dei rapporti tra i vari soci della società di Chiusa di Ginestreto. Nell’incontro avvenuto nello studio del notaio romano – così come a Pesaro non c’era nessuno dei soci taiwanesi – ad un certo punto il presidente e cioè lo stesso Meloncelli fa mettere a verbale "nonostante i 40 milioni di euro di capitale azionario e prestiti degli azionisti negli ultimi 5 anni, la società rimane non redditizia con un flusso di cassa negativo e nessuna propettiva di miglioramento. Basti pensare che la perdita di esercizio è incrementata in in soli otto mesi di un milione e 900mila euro circa in quanto è èassata da 916mila euro al 31 12 2018 a 2 milioni e 807mila euro al 31 ottobre del 2019", per cui visto il "continuo peggioramento della situazione non può essere risolto mediante continui innesti di liquidità da parte dei soci, i quali possono finanziare un’attività aziendale solo nlla prospettiva che la stessa diventi redditizia". Tutto questo il 28 novembre a ... Porta Pia nello studio del notaio romano Paolo Cerasi. Una brutta vicenda che va a pesarese solamente ed esclusivamente sulle spalle di 85 famiglie. Perché di questa vicenda non si capisce una cosa: visto l’andazzo e cioè i clamorosi buchi della Berloni, perché nesuno è intervenuto prima chiedendo una riorganizzazione ed un nuovo piano industriale? Se lo chiedono i sindacati, se lo chiedono gli operai e pare se lo sia chiesto anche lo stesso Meloncelli.