"Covid e crisi economica: a Pesaro e Urbino rischia di chiudere un terzo delle imprese"

La fotografia di Marco Luchetti, commercialista, consigliere dell’Ordine: dalle agenzie di viaggio ai bar, ecco i cali di fatturato

La manifestazione in piazza del Popolo dello scorso autunno dei ristoratori

La manifestazione in piazza del Popolo dello scorso autunno dei ristoratori

Pesaro, 14 aprile 2021 - Quasi il 30 per cento delle imprese della provincia rischia di chiudere. O meglio, di non riaprire più una volta che si uscirà dall’occhio del ciclone Covid. La pandemia, con lockdown, zone rosse, divieti, presenta il conto dei suoi effetti sul tessuto economico. E i numeri hanno tutti, o quasi, il segno meno davanti. È una fotografia a tinte fosche quella che si trovano a guardare ogni giorno i commercialisti pesaresi, la categoria di professionisti che sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria vive accanto a imprese e lavoratori il dramma delle conseguenze del virus sulle diverse attività. Un dato su tutti è quello appena reso noto dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei commercialisti su ristoranti e alberghi di tutta Italia: "Ben 38,5 miliardi di euro è il fatturato bruciato dal Covid nel 2020/21. Pari a meno 44,2% rispetto al 2019".

"Non abbiamo un osservatorio provinciale che ci dia dati precisi – spiega Marco Luchetti, commercialista, consigliere dell’ordine di Pesaro e Urbino, responsabile della formazione professionale – Ma ci sono attività che nel 2020 hanno registrato una perdita di fatturato di più del 70% rispetto al 2019. Parliamo di agenzie di viaggio, attività artistiche, cinema, palestre, piscine". Poi a seguire, "con oltre il 50% in meno, figurano alberghi e strutture di accoglienza di vario tipo", mentre a segnare un 30% in meno sulla voce "entrate" del bilancio ci sono bar e ristoranti. "E tra i vari settori – continua Luchetti – i più colpiti sono le micro imprese. Queste non hanno strategie di risposta alla crisi. Per molte di loro il rischio chiusura è già realtà".

Ma con le tante attività che muoiono, spariscono anche i posti di lavoro. Quante persone possano rimanere per strada, non è possibile quantificarlo. "E’ difficile dirlo anche perché c’è il blocco dei licenziamenti – spiega - ora prorogato a settembre per le industrie e ad ottobre per gli altri settori. I lavoratori dipendenti hanno gli ammortizzatori sociali, ma appena termina il blocco, potrebbe partire un’ondata di licenziamenti non banale". Meno fatturato, vuol dire anche meno gettito nelle casse dello Stato che rischia di ripercuotersi sui servizi per la comunità. "A livello nazionale, il pil cala del 6/8%, vuol dire che le entrate calano allo stesso modo". Ci sono però settori che se la sono cavata, "come quello del commercio on line".

Ma quale è il ruolo che Comuni e Regione possono avere per aiutare i cittadini? "Alleggerire la burocrazia – continua – ci sono una quindicina di bonus. C’è un bonus per tutto. E questo è il problema. Basta con questi interventi non coordinati, a pioggia, per accontentare un po’ tutti. Finiscono per prenderli anche quelli che hanno sì i requisiti di legge, ma non ne ha bisogno. E invece queste misure sono importanti. Pensiamo ai bonus edilizi, il famoso 110%, un ottimo strumento di rilancio del settore immobiliare che è trainante nel nostro paese e ne tira dietro altri, come l’arredamento. Però la burocrazia che c’è dietro è così elevata che disincentiva. Per questo chiediamo a Comuni di velocizzare le pratiche. Dall’altro lanciamo un appello al Governo affinchè le proroghe non vengano comunicate il giorno prima della scadenza del bonus, ma con mesi di anticipo". "Non abbiamo una ricetta – conclude - ma di certo tutti dobbiamo darci da fare al massimo, ognuno nel proprio ruolo, se vogliamo almeno limitare i danni economici di questa pandemia".