Pesaro, 13 aprile 2014 - Siamo «todos caballeros». Tutti in grado di interpretare la società, di presentarci alle elezioni, ma in particolare di essere più «civici» degli altri.

E’ la nuova formuletta magica di queste desolanti elezioni amministrative: «La mia è una lista civica». Lo dicono tutti, anche coloro che hanno simboli di partito ben in evidenza. Dal federalismo al civismo, dal bipolarismo al nuovismo, dal berlusconismo al renzismo. Può mancare un po’ di sano “civismo”? E, in fondo, alzi la mano chi non si sente civico, dalla parte del bene comune, della collettività e della solidarietà?

In queste settimane abbiamo visto proliferare liste civiche a go go, qualcuna improntata a un tema, qualcun’altra basata su indicazioni personalistiche. Molte sfioriranno prima del 25 maggio, qualcun’altra nelle urne.

La confusione è tale in ogni alleanza o assembramento da far rimpiangere i vecchi partiti. Se anche il Pd, erede della duplice tradizione comunista e democristiana, non ha più niente da dire come partito, il futuro della politica - intesa come arte di governare la società - è davvero nero.

Ma è ancora più grave l’altra faccia della medaglia del civismo mal interpretato: il rischio di meridionalizzazione della politica locale; la sostituzione dei partiti con gruppi legati dalla gestione del potere prima che da idee. L’anticamera del voto di scambio che si nutre della crisi e dei bisogni.

 

di Luigi Luminati