Pesaro, 16 ottobre 2011 - «Avrei potuto riprendere e completare l’incontro, non ho difficoltà ad ammetterlo». Sono le testuali parole di Dino Meneghin che dopo oltre vent’anni confessa la verità sulla monetina che gli arrivò in testa in gara due di Scavolini-Philips dell’88-89, con partita e scudetto persi da Pesaro. Lo dice nella sua biografia «Passi da gigante, la mia vita vista dall’alto», scritta con Flavio Vanetti e pubblicata da Rizzoli. Per la verità nemmeno noi avevamo mai avuto difficoltà ad ammettere che avrebbe potuto rientrare tranquillamente in campo, ma ora dovremmo chiedergli scusa perché mai avremmo pensato alla sofferenza e al sacrificio patiti per restarsene invece steso a terra. Sentite e meditate su quello che disse fra sé e sé: «Dino, devi avere coraggio di farlo, costi quello che costi. Non esiste che tu debba sempre sopportare...». Capite il dramma? Però «rifiuta l’accusa di aver strumentalizzato ad arte l’episodio a causa dell’importanza della posta in palio». C’è un altro motivo per cui dirgli grazie: con precognizione da profeta, lui sapeva già che trent’anni dopo sarebbe diventato presidente della Fip e che avrebbe dovuto predicare contro la violenza nei campi e allora ecco la riflessione scritta ora ma che, secondo lui, novello San Paolo folgorato a terra, gli passò per la mente in quella sera: «... non era la prima volta che a Pesaro si verificavano questi episodi. Ma la punizione per il malcostume abitudinario (proprio così!, ndr) era sempre stata fin troppo mite: qualche multa e chiusa lì».

E NO, perbacco: «Serviva una lezione, una semplice ma istruttiva lezione, senza la presunzione di ergermi a giustiziere e senza spendere morali spicciole». Ma non basta. Siccome «nella stagione precedente la stessa cosa mi era capitata a Roma, quella volta avevo deciso di lasciar correre, ma poi mi ero pentito. Quindi per certi aspetti Pesaro pagò anche la mia incazzatura repressa». E così giustizia fu fatta. La questione è un’altra: abbiamo visto eroi meno famosi del Dino nazionale rialzarsi, fasciarsi la testa e continuare a giocare, guadagnandosi per sempre rispetto e stima del pubblico avversario, quello, come dice lui stesso riferendosi a Pesaro, «di una piazza competente e appassionata». La verità pura, semplice e una volta per tutte, è che nella sua luminosa carriera Meneghin di «passi da gigante» ne ha fatti tanti. A Pesaro, in quella sera del 1989, ha fatto invece un clamoroso «passo da nano». Questo avrebbe dovuto dire da uomo d’onore. D’altronde nessuno è eroe a tempo pieno. Il resto è campagna elettorale.