Dan Peterson approva la linea della Vuelle

"Ottimi gli acquisti italiani e Tambone per me una vera scoperta. Repesa sente di non aver terminato il suo lavoro: ecco perché torna"

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Una due giorni di full immersion nella realtà pesarese per Dan Peterson che domenica ha intrattenuto i consorziati della Vuelle mentre ieri mattina ha fatto visita ad un camp a Fano per passare un po’ di tempo con i ragazzi. Da nemico giurato quando dirigeva l’armata del Billy Milano, oggi Dan può ripresentarsi a Pesaro come un’icona da cui è sempre piacevole abbeverarsi. A lui abbiamo chiesto anche un giudizio sulla Vuelle in costruzione e si sente che c’è dell’affetto verso una piazza che è stata la sua principale rivale per sette anni, dall’81 all’87.

"Approvo innanzitutto la scelta dei tre giocatori italiani messi accanto a un veterano affidabile come Delfino. Tambone è stato per me una scoperta, è stato eccezionale quest’anno. E con Visconti e Mazzola hanno preso tre bravissimi giocatori. Come ho detto ai consorziati della Vuelle, io sono un nostalgico dei tempi in cui gli stranieri erano solo due e l’ossatura delle squadre era costituita dagli italiani, bisognerebbe tornare a dargli più spazio e considerazione perché ti ripagano sempre".

Una stagione in cui la società biancorossa ha rialzato la testa, dopo aver dato già un segnale l’anno prima.

"Pesaro che torna ai playoff dopo dieci anni significa per me il ritorno alla tradizione e io sono molto tradizionalista, direi un inguaribile nostalgico: pur essendo stato anche allenatore della Virtus, avrei voluto vedere la Vuelle vincere almeno garatre davanti ai loro tifosi perché avrebbe premiato un lavoro incredibile. Chi l’avrebbe detto, quando è arrivato Luca Banchi, che avrebbe conquistato l’ottavo posto per sfidare Bologna? E’ stato un capolavoro e come dice Arrigo Sacchi, il trionfo delle idee e del lavoro contro i soldi".

Ora la Carpegna Prosciutto ricomincia da Jasmin Repesa. Durante la sua conversazione a Villa Cattani Stuart, Peterson ha detto di essersi pentito per il suo precoce ritiro come coach a 51 anni, e che il suo ritorno a Milano nel 2011 si poteva definire ‘business unfinished’, cioè un lavoro non terminato. Può valere anche per Repesa?

"Ho usato questo termine per me quando sono tornato in panchina a Milano perché sentivo di essere uscito dal giro troppo presto, avevo oltrepassato da pochissimo i cinquant’anni e sentivo di non aver chiuso il cerchio. Anche Repesa è un uomo di grande determinazione e probabilmente qui a Pesaro sentiva di non aver portato a termine il suo lavoro: se lui è a posto fisicamente è un grande, ho visto le sue squadre giocare e ammetto che mi piacciono molto".

Fra l’altro, Peterson ha ricordato come nell’esplosione del grande basket in città nel corso degli anni Ottanta, gli allenatori slavi, Pero Skanski e il professor Aza Nikolic, avessero contribuito a dare al club e alla squadra una mentalità europea, quindi si può camminare in questo solco. Elisabetta Ferri