Il rombo dei motori ha un marchio: Lazzarini

Enzo, imprenditore e rappresentante della storica famiglia, racconta una vita di imprese sulle due ruote.

Enzo Lazzarini, lei oggi è un imprenditore di successo, insieme ai suoi familiari, ma la sua ambizione era quella di fare il pilota professionista. Cosa le ha lasciato "in eredità", lo sport, per la successiva vita civile?

"Non mi sento un imprenditore di successo. Sono solo una persona che cerca di fare bene il proprio lavoro. Non era quello che avevo scelto, ma visto che mi ci sono trovato ho cercato di farlo nei migliori dei modi. Riguardo l’ “eredità“, ho compreso soprattutto tre cose: lo sport è passione e sacrificio. E questo sacrificio ti deve piacere, altrimenti non ha senso. Infine: il sacrificio porta risultati. E’ così anche nella vita: prestare attenzione a scuola, ad esempio, comporta sacrificio, ma può dare risultati straordinari. Io purtroppo l’ho capito tardi, quando avevo già smesso di studiare. Anche se poi la curiosità mi spinge oggi ad approfondire continuamente gli argomenti che mi interessano. Credo sia importante farsi coinvolgere da una curiosità continua, rialzandosi dopo ogni caduta".

Leggendo la scheda della vostra famiglia, si scopre il ritratto di un gruppo molto determinato.

"Inevitabile. Venivamo da una famiglia non ricca. Eugenio, insieme ai genitori, è stato un esempio per tutti noi. Ha cominciato a lavorare a 5 anni, come meccanico di biciclette, prima a Tre Ponti, poi a Cattabrighe e infine a via Cavour dove l’ha scoperto Mimmo Benelli, che lo ha voluto nel Reparto Corse, anche se nostro padre era contrario. E’ entrato in Benelli a 12 anni come ragazzo di bottega ma in realtà, in quel momento, era già un veterano".

Che rapporto ha avuto con le moto?

"Volevo correre in moto, ad ogni costo. Ho iniziato la mia vita lavorativa a 10 anni come pasticcere, a 14 anni (terminata la scuola) sono andato in un’officina di elettrauto, perché mi sembrava complementare al lavoro di Eugenio, che faceva il meccanico. Dopo l’incidente mi sono trovato a lavorare nella nostra Concessionaria, ma non sapevo trattare con i clienti. Una delle critiche che fanno spesso a tutti noi, in famiglia, è che siamo di poche parole: è vero. Quando un cliente entrava in officina, io facevo in modo di uscire. La mia ambizione era fare il pilota, i contatti con le gente li teneva Eugenio, mentre io scappavo via. Dopo l’incidente ho passato un periodo molto difficile, ma ho tenuto duro e ho ricominciato, come facevo ogni volta dopo una sconfitta in gara causata da un guasto alla moto". La determinazione è il frutto di un patto tacito tra noi fratelli: dare ognuno il massimo e il meglio, nei limiti delle proprie capacità. Personalmente ho fatto molti errori, ho sbattuto la testa sui problemi, ma ho anche imparato molto, dagli errori. Non si finisce mai di imparare".

Luigi Diotalevi