C’erano una volta i Cinquestelle del vaffa. Partiti, Tav, giustizia: retromarcia su tutto

Da quando sono in Parlamento, i grillini si sono rimangiati molti punti fermi. L’umiliazione di Bersani in streaming è solo un ricordo. Un tempo Grillo e i suoi bersagliavano Scilipoti e i "voltagabbana" che facevano da stampella ai governi. Oggi li cercano per Conte

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Parlare di incoerenza sarebbe riduttivo. Quello che attraversa il Movimento 5 Stelle da tempo è un vero tornado di trasformismo e ambiguità. Da quando sono nati, i 5 Stelle hanno praticamente rinnegato ogni loro caposaldo fino all’ultimo, emerso con la crisi del governo Conte bis ad opera di Matteo Renzi, che li ha convinti a buttare nel cestino la riforma costituzionale per introdurre il vincolo di mandato per i parlamentari.

Una ’crescita politica’, dall’ingresso in Parlamento nel 2013, punteggiata di giravolte e abiure, di sconfessioni e ipocrisie che hanno sconcertato la base elettorale e minato la credibilità politica dei suoi rappresentanti.

Voltagabbana? No, ‘costruttori’

L’ultima giravolta è proprio di queste ore, quando Beppe Grillo, scordatosi dei suoi "vaffa" lanciati un tempo contro Scilipoti e i Responsabili di Berlusconi, se n’è uscito benedicendo qualsiasi voltagabbana avesse deciso di sostenere il governo Conte. Avanti con i Costruttori e si salvi chi può.

E pensare che i 5 Stelle avevano presentato il Ddl costituzionale (23 marzo 2017) per modificare il testo dell’articolo 67. "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni col vincolo di mandato popolare – ecco il testo dell’articolo –. I deputati e i senatori che nel corso della legislatura si iscrivono a un gruppo parlamentare diverso da quello per cui sono stati eletti sono dichiarati decaduti e incandidabili". Ma erano altri tempi. Solo in questa legislatura, i parlamentari dei 5 Stelle che hanno lasciato il Movimento sono stati 55 e tutti hanno trovato ‘casa’ altrove.

Niente alleanze e solo due mandati? Rousseau ha detto no. Sotto il solleone del Ferragosto pandemico 2020, i militanti 5 Stelle hanno dato il via libera alla deroga sul vincolo dei due mandati dicendo anche sì alle alleanze con altre forze politiche per le elezioni amministrative. Un altro pilastro grillino a cadere, dando così il via libera alla ricandidatura della sindaca di Roma, Virginia Raggi.

È sempre ‘grazie’ alla prima cittadina del Campidoglio (ma non solo a lei) che il Movimento ha digerito l’abiura ad un’altra regola aurea, quella delle dimissioni in caso di avviso di garanzia. Anni fa, Di Maio e Di Battista urlavano che bastava ci fossero indagini a carico di un politico per costringerlo le dimissioni. Lo stesso principio non è stato applicato dopo i rinvii a giudizio non solo della Raggi, ma anche di Chiara Appendino e di Filippo Nogarin. Due pesi e due misure è dire poco.

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Anche sui nodi infrastrutturali e industriali le musica è cambiata. Mentre la Tav va avanti nella costruzione, un tema ‘caldo’ per i grillini è stato pure quello dell’Ilva di Taranto. In campagna elettorale volevano la chiusura e la bonifica del territorio circostante. Appena al governo, Di Maio ha sostanzialmente confermato la linea del suo predecessore allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda. Stessa musica per il Tap (gasdotto trans-adriatico), riconfermato in barba alle promesse fatte all’elettorato salentino.

Euro sì, euro no. I grillini proposero un fantomatico referendum consultivo sulla moneta unica (privo di valore legale), ma poi il Di Maio di governo giurò di "restare nell’Euro, nell’Ue e nella Nato". Dissero che volevano cancellare i fondi Ue, ma poi pagarono regolarmente i contributi; l’euro scetticismo – anche quello – è finito in cantina.

La lista dei ’tradimenti’ sarebbe ancora lunga, ma per un Movimento che si proponeva di combattere i poteri forti e di aprire il Parlamento "come una scatola di tonno" al grido "o-ne-stà, ta-ta-ta" parlare di fine ingloriosa è il minimo sindacale.