Dimissioni di Conte: i perché e cosa succede ora

I motivi della crisi di Governo, il ruolo di Renzi, le posizioni dei partiti e gli scenari. Cosa cambia in materia di misure anti-Covid per Emilia Romagna, Marche e Veneto

Dimissioni Conte: gli scenari possibili

Dimissioni Conte: gli scenari possibili

Bologna, 26 gennaio 2021 – Anche i puzzle più complessi si possono comporre. La crisi di Governo, riacutizzata dalle dimissioni di Conte, non fa difetto. I tasselli sono molti, è vero. In primis il protagonista e l'antagonista, Conte e Renzi o viceversa, a seconda di come la si pensi. Poi, ovviamente, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, cui ora incombe di trovare una soluzione. I partiti, certo, ma non solo. Gli attori di questo film non recitano soltanto nei Palazzi. L’incertezza politica, infatti, si sovrappone all’emergenza sanitaria e a quella economica. Aggravando le ansie. In questi casi è bene fare ordine per capirci qualcosa di più e diradare le nubi.

Le domande che aleggiano in queste ore, ve le sarete poste tutti: perché si dimette il presidente del Consiglio? Cosa succede adesso? E cosa cambia in materia di misure anti-Covid: tornano in discussione i colori e le misure restrittive nelle regioni, che per i lettori del Carlino sono innanzitutto Emilia Romagna, Marche e Veneto?

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Dimissioni di Conte: tutti i perché

Per dissipare i dubbi bisogna partire dai fatti. Nell’estate 2019 Matteo Renzi, ancora iscritto al Pd, è determinante per far nascere il Governo Conte bis. Per evitare la “deriva dei pieni poteri” invocati da Matteo Salvini, spiega. Dopo poco più di un anno il rapporto tra colui che nel frattempo è diventato il leader di Italia Viva e l’ex Avvocato del Popolo è già logoro. Il senatore di Firenze adduce motivi di ordine politico e accusa l’Esecutivo di “non gestire la seconda fase dell’emergenza sanitaria”. Nel mirino, soprattutto, il mancato utilizzo delle risorse del Mes (il sistema europeo di stabilità), i ritardi e le incertezze nella definizione del Recovery Plan, “l’approccio personalistico” del premier. Qualcuno non ci crede, e individua le ragioni della crisi in una incompatibilità umana tra Conte e Renzi, due galli in un pollaio nel quale soltanto uno riesce a raccogliere applausi col suo chicchirichì. Al momento è il professore foggiano, forte di sondaggi lusinghieri.

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Sia come sia, il 13 gennaio scorso la delegazione di Italia Viva al Governo, composta dalle ministre Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e dal sottosegretario Ivan Scalfarotto, si dimette. Si apre la crisi. Cinque giorni dopo Conte si presenta alla Camera e chiede la fiducia. L’Esecutivo ottiene 321 voti a favore (tra cui anche quello della forzista Polverini), 259 contrari e 27 astenuti, tutti di Italia Viva. Il 19 gennaio, al Senato, il redde rationem: 156 i voti a favore del premier (compreso quello dell’ex fedelissima di Berlusconi, Mariarosaria Rossi), 140 i contrari, 16 gli astenuti. La maggioranza c’è, ma non è assoluta: mancano i numeri per governare.

Prosegue la caccia ai cosiddetti “costruttori”; quei senatori, cioè, pronti a passare armi e bagagli in maggioranza. Non se ne trovano abbastanza, tuttavia: la pattuglia renziana è ancora decisiva. Giuseppe Conte non intende essere trattenuto come ostaggio. Così, ieri, annuncia le dimissioni e decide di salire (oggi) al Quirinale. L’idea è quella di vedere le carte di Renzi e degli altri parlamentari. Confida nel fatto che di fronte alla ‘minaccia’ dello scioglimento anticipato delle Camere, più di qualcuno faccia un passo indietro, avanti o di lato. Insomma, conta di ingrossare le fila della sua maggioranza e ottenere da Mattarella il reincarico. Nascerebbe il Conte-Ter.

Cosa succede adesso

Detta così, sembra facile. Non lo è. Oggi è in programma il colloquio tra il premier dimissionario e il Capo dello Stato, il quale poi, già da domani, darà inizio alle consultazioni. Ascolterà le delegazioni di tutti i gruppi parlamentari per capire se ci sono i margini per la costituzione di maggioranze alternative. A questo punto si delineano gli scenari: Mattarella può rinviare il Governo Conte alle Camere a verificare la sussistenza del rapporto fiduciario; nominare un nuovo Governo, guidato dallo stesso presidente del Consiglio dei ministri con modifiche della compagine ministeriale; scegliere un premier diverso all'interno della stessa maggioranza oppure espressione di una maggioranza differente; sciogliere le Camere e indire nuove elezioni politiche in un periodo di tempo compreso tra 45 e 70 giorni. Quattro opzioni che portano su strade del tutto differenti. La via maestra è senz’altro quella di un Governo politico, che può essere frutto della conferma dell’Esecutivo attuale, della formazione di una coalizione alternativa o del ritorno alle urne. Non si può escludere, però, il ricorso al cosiddetto Governo tecnico guidato da un nome autorevole, come accade nel 2011 con Mario Monti. In questo senso, si fanno i nomi di Mario Draghi, Marta Cartabia e di Carlo Cottarelli, ormai vera e propria riserva della Repubblica.

Crisi di Governo, le posizioni dei partiti

Se la palla, ora, è tra i piedi di Mattarella, spetta ai partiti muoversi per ispirarne le decisioni. Qualunque sia la scelta del Capo dello Stato, infatti, è vincolata ai numeri, che in Parlamento devono essere sufficienti per approvare i provvedimenti e sostenere l’azione di Governo.

Al momento, le cose stanno come segue. Il Movimento 5 Stelle, in crisi di gioco e di risultati, tanto per proseguire con la metafora calcistica, non può che affidarsi ancora a Giuseppe Conte. Un po’ perché è il nome scelto da Beppe Grillo, quindi non si discute, e un po’ perché le elezioni sancirebbero, stando ai sondaggi, un corposo ridimensionamento del partito. A questo punto il dilemma pentastellato, etico prima che politico, è: può una compagine nata (anche) per dare una rappresentanza politica all’antiberlusconismo accettare l’appoggio di Forza Italia pur di restare a galla?

Chi non ha di questi problemi è il Pd, che dalla Bicamerale D’Alema al Patto del Nazareno ha già avuto modo di collaborare con l’ex Cavaliere. Replicare in questo momento, quando gli spauracchi individuati da giornali, intellettuali e padri nobili di area centrosinistra sono Matteo Salvini e Giorgia Meloni più che il 'vecchio Silvio', sarebbe ancora meno problematico.

Matteo Renzi, visto da qualcuno come l’erede politico di Berlusconi, addirittura lo invoca, un Governo di larghe intese. Ad ogni modo, per Italia Viva, nonostante lo strappo di queste settimane, è ancora possibile un ritorno in maggioranza. Tutto, insomma, fuorché il voto. Il 3% circa accreditato dai sondaggi non è abbastanza per dare un senso alle ambizioni del suo leader.

Sull’altro fronte solo Forza Italia (video) si mostra disponibile a partecipare a una coalizione larga, unendo le proprie forze a quelle dei giallo-rossi. Qualcuno già vaticina la formazione di un’alleanza Ursula, dal nome della von der Leyen, presidente della Commissione Europea grazie ai voti sia dei Popolari sia dei Socialisti.

Lega e Fratelli d’Italia, che sono all’opposizione anche a Bruxelles, non ne vogliono nemmeno sentir parlare. E chiedono, più o meno convintamente, che si vada alle elezioni.

Colori delle regioni e restrizioni anti-Covid: cosa cambia?

Detto di quanto si muove nel Palazzo, resta da capire cosa cambi per i cittadini, alle prese da dieci mesi a questa parte con la pandemia e le restrizioni che impone. Che ne sarà, per esempio, di quella mappa dei colori che ogni due settimane può mutare la sfumatura delle regole in vigore nelle varie regioni? Peraltro, è proprio il presidente di una di esse, Stefano Bonaccini, uno degli sponsor più importanti dell’attuale maggioranza. Da leader della Conferenza delle Regioni, dopotutto, sa bene quanto sia importante avere come interlocutore un Governo stabile in sella. Tanto più se l’Unione Europea tinteggia di rosso scuro proprio l’Emilia Romagna, oltre che il Veneto, il Friuli Venezia-Giulia e la Provincia di Bolzano. Se la proposta in questione passasse, sui cittadini di queste aree graverebbero l'obbligo di test e la quarantena per poter viaggiare in Europa. In affari come questo il peso politico conta, eccome.

Quanto agli atti normativi con i quali abbiamo familiarizzato in questi mesi, invece, non cambia nulla. “Dopo le dimissioni, continuano gli affari correnti, l’attuazione delle decisioni parlamentari, i poteri d’urgenza e non vi è nessuna interruzione dell’attività amministrativa; il Consiglio dei Ministri adotta gli atti urgenti, i decreti-legge e i decreti legislativi; non adotta nuovi disegni di legge, salvo quelli richiesti da obblighi internazionali ed europei”, spiega autorevolmente il giudice emerito della Corte Costituzionale, Sabino Cassese. Tradotto: Il Decreto-Legge n. 2 del 14 gennaio 2021 e il Dpcm della stessa data hanno definito le misure valide dal 16 gennaio al 5 marzo 2021; fino a quella data resta tutto com’è, cabine di regia e ordinanze del ministro della Salute comprese. Difficile, per non dire impossibile, ipotizzare che un nuovo Governo riesca a insediarsi prima e a varare un atto che superi lo schema attuale. Da questo nodo i fili della crisi politica e di quella sanitaria ed economica tornano a divergere. Forse.