Elezioni 4 marzo in Emilia Romagna e Toscana. C’era una volta la sinistra

La culla del partitone al centrodestra, M5S primo partito. Pd giù nella terra di Renzi

Pier Ferdinando Casini, eletto al Senato, in piazza Maggiore a Bologna (FotoSchicchi)

Pier Ferdinando Casini, eletto al Senato, in piazza Maggiore a Bologna (FotoSchicchi)

Bologna, 6 marzo 2018 - La cassaforte del voto è svaligiata, la speranza evapora. Quel che resta di una notte da rapina è un rotolino di banconote scolorite, un tesoretto di poco conto. Il rosso comunista – di ieri – ha oggi, in Emilia-Romagna e Toscana, una tinta fioca: la politica del c’era una volta (centinaia di migliaia di tessere, percentuali bulgare, nessun tipo di alternanza immaginabile per decenni) è morta e tutti i dirigenti Pd lo hanno finalmente capito.

In Emilia-Romagna, per la prima volta dal Dopoguerra, la coalizione di maggioranza è il centrodestra e il primo partito non è di sinistra. È il Movimento Cinque Stelle che qui è nato – a Bologna nel 2007 il V-Day di Beppe Grillo, qui c’è anche la ‘testa’ del movimento con il fedelissimo Massimo Bugani – che vola al 27% contro il 26,3% dei democratici. Il Pd, che governa ininterrottamente e ha perso Bologna una sola volta, nel 1999 ai tempi di Giorgio Guazzaloca, in cinque anni ha lasciato per strada oltre dieci punti percentuali: l’unica nota positiva arriva proprio dalle Due Torri, dove il capoluogo non cambia verso, ma il resto della provincia sì. Va meglio la partita dei collegi, dove complessivamente il centrosinistra la spunta 13 a 12, ma è una vittoria di Pirro: la Lega lambisce il 20% e porta il centrodestra al 33%. Passa il centrista Casini, cade la prodiana Zampa e fa male soprattutto la  debacle di Dario Franceschini, massacrato nella sua Ferrara dal Carroccio. Male anche Liberi e Uguali, nell’anno zero della sinistra: battuto (proprio dall’ex leader Udc) l’ex governatore Vasco Errani, che però entrerà grazie alla posizione nel collegio plurinominale.

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In Toscana la partita nell’uninominale la vince, ed è una svolta, il centrodestra sul centrosinistra per 11 a 10; 7 pari alla Camera e 4 a 3 al Senato. Gli scricchiolii delle città roccaforte persi da Pd e compagni – Livorno, Arezzo, Grosseto, Pistoia e Carrara – si materializzano anche nel voto politico.  E diventa subito passato remoto la gara che si è ripetuta immutabile dagli anni ’70 in poi a chi avrebbe vinto la palma del Comune più rosso d’Italia, con Lamporecchio, in terra pistoiese, che se la giocava con Castelfiorentino dell’Empolese. Proprio a Lamporecchio la Lega si prende quasi il 19% e i 5 Stelle superano il 23 – più o meno come nel resto della Toscana –, il Pd si deve accontentare del 35,6, il Partito comunista sta al 2,3. Specchio dei tempi cambiati, che parlano una lingua identica, con accento fortemente leghista e grillino in buona parte del Granducato. A Pisa, tanto per fare un esempio, saranno eletti soltanto parlamentari della Lega. Al Senato Rosellina Sbrana sorpassa di qualche decimale la ministra del Pd Valeria Fedeli.  Cadono anche altre teste titolate del centrosinistra, da Cosimo Ferri (a Massa Carrara) ad Andrea Marcucci (Lucca). Si assicurano il seggio invece tre big del governo Renzi: Luca Lotti a Empoli e Carlo Padoan a Siena e il socialista Riccardo Nencini ad Arezzo. I 5 Stelle restano a bocca asciutta di seggi nell’uninominale, ma gongolano, volando ben oltre il 20% ovunque. Ciliegina sulla torta Livorno, dove già il sindaco è grillino: 27,8% alla Camera.

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