Filicori Zecchini, il caffè dell'anima emiliana

Premio Mascagni, Filicori Zecchini compie 100 anni abbracciando il futuro

Da sinistra i fratelli Luca e Costanza Filicori e Luigi Zecchini:sono la terza generazione

Da sinistra i fratelli Luca e Costanza Filicori e Luigi Zecchini:sono la terza generazione

Bologna, 17 settembre 2019 - DAL SOLE delle piantagioni fino al bancone del bar di fiducia, con un’ossessione per la qualità ereditata dalle radici artigiane e giunta ora alla soglia della quarta rivoluzione industriale. Continuità e innovazione, nell’anno del centenario di Filicori Zecchini, restano i marchi di fabbrica di questa eccellenza bolognese del caffè, con Luigi Zecchini e i fratelli Luca e Costanza Filicori ad assicurare la prima, puntando però forte sulla seconda, come spiega Luigi Zecchini.

Bastano tre generazioni per mutare una bottega in un grande gruppo industriale?

«Nel nostro caso, sì. La prova sta in una vicenda imprenditoriale iniziata cent’anni fa nel 1919 com la prima rivendita aperta dai nostri nonni nella centrale via Orefici, seguito dall’impianto di torrefazione di via Oberdan e poi negli anni ’60 dalla trasformazione in industria vera e propria condotta stavolta dai nostri genitori. Poi, col passare dei decenni, siamo arrivati al primo stabilmento lungo la via Emilia e all’attuale grande sede di Osteria Grande».

Un’espansione sempre contassegnata dai preziosi chicchi di caffè.

«Il business di famiglia, in effetti, non è mai cambiato: dall’acquisto diretto della materia prima dai Paesi produttori alla torrefazione e alla vendita del caffè agli operatori del settore. Ad essere profondamente diverso, con l’avvicendarsi delle generazioni, è stato invece l’approccio manageriale».

Si spieghi meglio.

«Per essere chiari, quest’azienda ha avuto il merito di saper restare al passo coi tempi, senza mai derogare sull’alto livello del prodotto finale, e investendo con costanza, quando i tempi lo hanno richiesto, tanto sull’innovazione dei macchinari, quanto sulla formazione dei nostri clienti: un passaggio cruciale».

Quindi fate in modo che chi vi compra sia, come dire, ‘degno’ di rappresentarvi?

«Sì, in un certo senso è così. Proprio perché quanto commercializziamo, sia nella linea tradizionale che tramite il marchio Club Kavè, è in sostanza un semilavorato. Che per diventare bevanda ha bisogno di un know-how tecnico di un certo tipo da parte dei baristi e dei ristoratori, oltre che di macchine per il caffè che lo sappiano nobilitare».

Sulla tecnica, dicevamo, siete all’avanguardia.

«Possiamo dire di essere già entrati con successo nell’epoca 4.0, grazie a linee produttive capaci di dialogare tra loro e con la rete internet mentre trasformiamo i chicchi verdi e coriacei in arrivo da Brasile e Centro America nelle piccole pepite brune pronte per essere macinate».

Non avete perso l’anima emiliana delle origini, pur aprendovi ai mercati internazionali.

«A Bologna abbiamo il cuore e dalla pianura bolognese vengono tutti i dipendenti dello stabilmento principale, venditori esclusi. Ma da almeno un decennio vendiamo anche fuori confine, per un quinto del fatturato annuo totale, con buoni risultati tanto nell’Europa Orientale, quanto negli Stati Uniti».