Simic: "Avanti tutta all'estero" / VIDEO

Premio Mascagni, le strategie della Simic: è tempo di investire negli Usa

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Bologna, 4 giugno 2019 -  LA CULLA nelle operose Langhe, a Cuneo, un piede da vent’anni in Emilia-Romagna, a Zola Pedrosa, e il mondo come unica frontiera. È questa, accanto all’’anima familiare e una visione da sempre puntata verso il futuro, la storia di Simic, fondata a Cuneo, nel 1975, da Ferruccio Boveri e Giuseppe Ginola e passata, nei decenni, da polo locale diviso fra carpenteria leggera e manutenzione impiantistica a multinazionale leader nei settori della criogenia, caldareria, camere da vuoto e delle lavorazioni di precisione. Al timone oggi, in rappresentanza della proprietà, c’è il general manager e figlio di uno dei fondatori, Fabrizio Boveri.

Oggi siete diventati grandi, ma il passato non si dimentica.

«Nella nostra storia si respira tutta l’etica del lavoro che rende famosa da sempre la provincia di Cuneo, da leggere attraverso i piccoli passi che abbiamo intrapreso, con umiltà, per passare dalle aree di interesse originarie alle sfide della carpenteria pesante e, da queste, agli sbarchi all’estero e agli attuali progetti di portata internazionale. La cultura delle maniche rimboccate, se questo era il senso della domanda, non ce la scordiamo».

Che cosa vi ha portato a sbarcare, dal Piemonte, in terra d’Emilia?

«All’inizio fu il caso, con la collaborazione con l’allora Intertaba, cominciata nel 1999, che ha finito per tradursi nella nascita di una sede secondaria a Zola Predosa, nella presenza di un ufficio tecnico che, da questo giugno, coordinerà tutte le nostre attività e nella nostra simbiosi con lo stabilimento Philip Morris di Crespellano, del quale abbiamo curato gli impianti ad ogni livello».

Dall’Emilia al mondo, poi, il passo é breve. È così?

«Ormai il 55% del nostro fatturato lo costruiamo con le vendite oltreconfine e Bologna, su questo fronte, ha finito per essere una delle molte rampe di lancio. Le esperienze in Turchia, Messico, Brasile, Germania e Romania, oltre al prossimo avvio di un’avventura statunitense, sono infatti frutto della volontà di seguire all’estero i nostri migliori clienti, perché la qualità dei luoghi in cui operano non cambi di una virgola, anche quando cambia la bandiera».

A quali aziende si riferisce, in particolare?

«Fra tutte, vista la comune provenienza, penso soprattutto al gruppo Ferrero, che ci ha dato l’opportunità di stabilire alcune utili teste di ponte dalle quali espandere, poi, le nostre idee business, basate su una cultura impiantistica e industriale che per l’Italia è ancora un fiore all’occhiello.

Poi, tra le altre, Solvay nella chimica e, per quanto riguarda l’industria farmaceutica, Bracco».

A proposito di punti d’onore, se le dico Iter che cosa le viene in mente?

«Si tratta della progettazione e costruzione intergovernativa nei pressi di Marsiglia, in consorzio con Ansaldo e due multinazionali francesi, di un reattore nucleare pulito, che non genera scorie. Un uovo di Colombo che, in sei anni, varrà per noi 450 milioni di euro, nonostante si parli solo di un prototipo in scala ridotta dell’impianto definitivo».