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QUELLO DEL 1999 — al decimo posto — fu uno dei migliori risultati del Ravenna in serie B: a reggere la società erano l’avvocato Antonio Della Casa, quale curatore della ex società controllante, e fallita, la Misano di Navigazione, il commissario giudiziale Adolfo Barbieri, il commercialista Massimo Lazzari e poi, per qualche mese in autunno, nel nuovo campionato, l’avvocato Eugenio Macherozzi quale amministratore unico. Una società con un passivo di oltre tredici miliardi di lire, con calciatori che non prendevano stipendi «ma che avevano tanta voglia di ben figurare» come ha testimoniato Eugenio Macherozzi.
Quella breve stagione di fulgore in mezzo agli enormi guai finanziari provocati dalle avventate mosse di Daniele Corvetta, fino a febbraio 1999 presidente della Misano e anche del Ravenna, è stata tratteggiata ieri nell’aula della Corte d’assise alla prima udienza del processo per il crack della società giallorossa (nove gli imputati, fra cui Giuseppe Romano). Davanti ai giudici (collegio presieduto da Milena Zavatti e composto da Piero Messini D’Agostini e Francesca Zavaglia, pm Isabella Cavallari) sono sfilati, come testimoni, oltre a due investigatori della Finanza, Della Casa, Macherozzi, Barbieri e anche Gianni Fabbri, attuale patron giallorosso e all’epoca, per un breve periodo, presidente della società appena acquisita dagli spagnoli della Continental. A dieci anni di distanza da quel 1999 che comunque vide il calcio giallorosso raggiungere vette mai più toccate, ascoltare le testimonianze che ricostruiscono quel periodo è come vedere un intricato film a tinte anche drammatiche, se solo si pensa all’improvvisa morte per infarto di quell’imprenditore spagnolo che del Ravenna era da appena tre mesi il proprietario, Fernando Torcal. Un film lungo quasi quattro anni, che ha le radici nel 1997, quando cominciò il travaso di miliardi dalle casse del Ravenna per finanziare le dissanguate casse della Misano di Navigazione nella convinta, ma irrealistica speranza di Corvetta di restiturli, e che giunge alla primavera del 2001 quando la Procura chiese e ottenne il fallimento del Ravenna calcio ormai completamente spolpato, per propri interessi, dalla gestione di Giuseppe Romano.
Tessera dopo tessera si ricompone nel breve spazio di sei ore di udienza quel mosaico all’epoca vissuto passo per passo in un susseguirsi di colpi di scena pressochè quotidiani. Tanto che Maccherozzi e Fabbri lasciano ben trasparire la propria forte partecipazione al racconto. Fabbri, d’altronde, ne ha ben motivo posto che qualcuno, all’indomani del decesso di Torcal, lo accusò di aver addirittura minacciato di morte l’imprenditore spagnolo, una calunniosa fantasticheria che all’autore, l’avvocato napoletano Sapienza, è poi costata una condanna per diffamazione. Un film, quello rivissuto ieri, da cui è emerso come nell’intera vicenda abbiano influito interessi sottesi e non conoscibili, come ad esempio quelli intercorrenti fra il gruppo spagnolo e — parole di Antonio Della Casa davanti ai giudici — «quei famigerati russi, pardon, chiedo scusa, mi correggo, i personaggi russi, che, da quel che si sentiva dire in giro, avrebbero dovuto poi finanziare la Continental», ma, non facendolo, costrinsero Torcal a cercare altre soluzioni, fino a giungere a Romano.
Il Ravenna calcio, dopo l’emungimento della Misano, divenne come una bomba ad orologeria. Quei tredici miliardi, per la società giallorossa, formalmente altro non erano che crediti verso la Misano e, quindi, una posta da iscrivere in bilancio all’attivo, salvo poi, una volta divenuti inesigibili per via dell’irrimediabile passivo della Misano (quantificato dal curatore del fallimento, Antonio Della Casa, in 85 miliardi di lire), venire posti fra le voci negative: ma, come vedremo, non fu mai fatto.
Il curatore della Misano, ai primi di marzo 1999 esautorò Corvetta dal Ravenna calcio e la società venne gestita da Barbieri, con Lazzari e Italo Castellani: la città si strinse attorno ai giallorossi, addirittura il passivo fu un po’ ridotto. Nel frattempo Della Casa stava preparando la vendita all’asta della società: «Nella gara fra la Continental e la Burgundian — ha spiegato Della Casa — vinsero gli spagnoli giungendo ad offrire 550 milioni. Beninteso che acquistarono un bene che portava in sè il germe dei tredici miliardi di passivo». Era l’11 novembre 1999. Gli spagnoli chiamarono a sè, come presidente Gianni Fabbri e consigliere l’avvocato Roberto Ridolfi. I quali predisposero un primo bilancio in cui quei 13 miliardi apparivano al passivo. Ma all’assemblea del 23 gennaio 2000 Torcal si mise di traverso affermando che non avrebbe approvato il bilancio così fatto, esautorò Fabbri e Ridolfi e nominò amministratore unico Manuel Campos Pardo. A quel punto l’assemblea approvò il bilancio con quei tredici miliardi esposti come crediti esigibili. Posto che di denaro in giro non ce n’era, l’alchimia di bilancio servì a Torcal per cercare dei partners. Ha spiegato ieri l’allora general manager giallorosso, Daniele Fioretto: «Torcal conosceva il cesenate Andrea Stagni, lo contattai e così affiorò la nuova cordata, con il cesenate Giuliano Bastoni. C’era anche Giuseppe Romano». Così Bastoni rilevò il Ravenna dagli spagnoli, ne divenne presidente e neppure lui sbiancò quei 13 miliardi: per questo nel 2005 ha patteggiato un anno e quattro mesi. Poi subentrò Romano che non solo non sbiancò, ma svuotò pure le casse. Prossima udienza martedì.
Carlo Raggi