Ravenna, 16 marzo 2011 - UNA REQUISITORIA di cinque ore. Precisa, pacata, analitica, a tratti inquietante, permeata di una grande, sincera amarezza che solo può provenire da chi, cresciuta nel culto dell’Arma per l’attività svolta dal padre, si ritrova fra le mani materiale che evidenzia le «bassezze» e le passate «condotte illegali» di personale appartenente alla Benemerita: il pm Cristina D’Aniello (figlia appunto di un maresciallo dei carabinieri) ha concluso ieri alle 14.30, davanti al collegio penale, con tre richieste di condanna fra i sette e i dodici anni di reclusione per altrettanti appartenenti (o ex) all’Arma (e un’assoluzione per un’ex guardia giurata), una quasi improba attività procedimentale avviata nell’autunno di ben sei anni fa e che ha portato allo scoperto uno scenario — pur rimanendo sul fronte del fattuale e senza caricarlo di significati di responsabilità — di riprovevole commistione fra uomini (all’epoca) dell’Arma, anzi del reparto di punta, quello Investigativo, e boss dello spaccio della droga all’interno della ex Callegari. E ancor più inquietante, come ha evidenziato il pubblico ministero, è un altro scenario, quello della «omertà», all’epoca, ovvero a fine anni Novanta, dei vertici di reparti dell’Arma e non solo, ma anche di altre Istituzioni.

E’ STATO DURISSIMO, su questo punto, il pm D’Aniello che ha articolato la requisitoria su un duplice piano, di contenuti e quindi di conoscenza acquisiti col tempo e anche nel corso dell’istruttoria dibattimentale, e di rappresentazione delle difficoltà, degli ostacoli che invece si frapponevano a quelle indagini fra il 2005 e il 2006. «Ho il dovere di rilevare — ha detto — un elemento di grave responsabilità da parte dell’Arma, ovvero il silenzio» completo, totale con il quale l’Istituzione ha avvolto alcune circostanze che sarebbero stati fondamentali riscontri a quanto, all’avvio delle indagini, andavano raccontando i fratelli Brinis, Lofti e Radovan, tunisini, quest’ultimo personaggio «scaltro, intelligente», circa la frequentazione della ex Callegari di carabinieri consumatori di sostanza stupefacente.

 «Non c’è traccia — ha proseguito il pm — di un documento ufficiale in cui emerga che due dei carabinieri qui imputati erano dediti al consumo. E invece già nel Duemila il carabiniere Petracci aveva compilato un’annotazione di servizio in cui faceva riferimento a queste ‘voci’ e sulle quali svolse indagini il Reparto operativo, andando però ad ascoltare lo stesso che forniva la droga. Come andare a chiedere al ladro se è lui che ha rubato. Devo proprio rilevare una profonda omertà del Reparto Operativo e del Comando Compagnia dell’epoca, il 1999. Anzi, c’è di più e coinvolge altre Istituzioni. Qui in dibattimento abbiamo appreso dall’allora capo della Mobile, Cesare Capocasa, che, essendo in possesso di informazioni negative su Caponi e un altro degli imputati odierni, riferì la circostanza al comandante del Reparto Operativo e questi gli disse che anche loro avevano informazioni non buone su due agenti di polizia che pure frequentavano la Callegari. Una voce, questa, che non ha però mai trovato riscontro. Ma questo bastò per decidere che ognuno avrebbe guardato in casa propria. I carabinieri non ci guardarono».

HA AGGIUNTO il pm D’Aniello: «L’indagine per la quale siamo a processo, avviata da questa Procura nel 2005 e condotta dal Nucleo operativo della Compagnia carabinieri, avrebbe dovuto invece cominciare il 16 agosto 2001 quando uno degli imputati, Claudio Caponi, all’epoca appartenente al Reparto operativo, venne arrestato a Marina di Ravenna assieme ad altri, in un appartamento zeppo di droga e gli vennero trovati in casa gioielli rubati che gli aveva dato uno spacciatore-confidente. All’epoca sarebbe stato più semplice svolgere le indagini e anche per gli imputati più agevole difendersi. Ma non se ne fece nulla. Ci si fermò al dato emergente».

ALL’INTERNO di questo fosco scenario, il pm ha poi ricostruito minuziosamente le fonti di prova accusatorie, ovvero principalmente Radovan Brinis — il boss dello spaccio alla ex Callegari — e le dichiarazioni di altri spacciatori e ha altrettanto minuziosamente elencato una per una le decine di elementi di riscontro: al magistrato, la requisitoria è infatti servita soprattutto per dimostrare la piena credibilità e attendibilità dei dichiaranti in ordine a tutte le accuse, da quelle di concorso in spaccio a quella di taglieggiamento, ovvero concussione, nei confronti degli spacciatori (per lasciarli liberi di spacciare e restare quindi impuniti), a quella di peculato in relazione al trafugamento di almeno due pistole, poste sotto sequestro, da una cassaforte della caserma di via di Roma e comparse all’ex Callegari.

Infine il pm ha chiesto la trasmissione degli atti per procedere per falsa testimonianza nei confronti di un maresciallo dei carabinieri e di un ex carabiniere. Nel pomeriggio sono iniziate le arringhe difensive sospese a sera. Hanno parlato gli avvocati Cinzia Montanari e Giovanni Scudellari. Si riprenderà il 3 maggio.