Annegato in mare. Assolti i titolari della barca

Il 46enne cesenate Davide Pastorelli era morto dopo un tuffo a Milano Marittima. Il catamarano preso in affitto non aveva a bordo il salvagente anulare.

Annegato in mare. Assolti i titolari della barca
Annegato in mare. Assolti i titolari della barca

Assolti entrambi, così come aveva chiesto la procura, "perché il fatto non sussiste". E’ quanto deciso nella tarda mattinata di ieri dal gup Corrado Shiaretti per i due imputati di omicidio colposo per la morte di Davide Pastorelli, il 46enne cesenate annegato il 27 agosto 2020 a Milano Marittima dopo un tuffo da un catamarano.

Si tratta di Enea Puntiroli e di Mattia Puntiroli, ovvero il 54enne titolare al momento dei fatti della società in concessione ‘centro velico al canalino’ dalla quale era stata noleggiata l’imbarcazione per un’escursione in mare; e del 26enne addetto alla consegna dei natanti da diporto (sono difesi dagli avvocati Massimiliano Bacillieri e Domenico di Berardino). La madre del 46enne si era costituita parte civile con l’avvocato Alessandro Sintucci chiedendo 300mila euro di risarcimento. La figlia minorenne del 46enne – tutelata dagli avvocati Manuela Mengucci e Lisa Venturi – compariva solo come parte offesa. In prima battuta le indagini coordinate dal pm Angela Scorza, avevano portato a una richiesta di archiviazione: istanza tuttavia respinta dal gip Andrea Galanti in seguito all’opposizione degli avvocati dei familiari del defunto.

A suo tempo gli imputati avevano chiesto di essere giudicati per rito abbreviato condizionato a una consulenza. Ovvero un’analisi sulla distanza del catamarano dalla battigia al momento della tragedia. Dettaglio che presumibilmente affonda nel punto cruciale della vicenda giudiziaria: l’assenza a bordo del salvagente anulare. Ad esempio secondo l’Ans-ente italiano per la nautica da diporto, in mare "non vi è alcun obbligo di dotazioni di bordo di imbarcazioni che navigano entro i 300 metri dalla costa". Un aspetto che probabilmente verrà scandagliato nelle motivazioni. Del resto secondo la richiesta di rinvio a giudizio, la colpa attribuita ai due imputati, era proprio quella di avere violato la specifica norma del 2008 consegnando al defunto e ad altri tre amici, tra cui la fidanzata, un natante senza salvagente anulare e relativa cima di recupero.

In quel contesto il 46enne, dopo essersi tuffato verso le 17 senza giubbotto salvagente, anche a causa di vento e moto ondoso aveva perso il controllo della situazione non riuscendo più a raggiungere il catamarano e annegando.

L’uomo era scomparso alla vista degli amici proprio durante il tentativo di avvicinamento. Il suo corpo era stato recuperato attorno alle 10 del giorno dopo dalla guardia costiera. In prima battuta la procura, in seguito a specifica consulenza, aveva escluso nesso causale tra decesso e assenza del salvagente.

Interpretazione non condivisa dal gip nella sua ordinanza per l’imputazione perché "il salvagente anulare con cima prescritto dalla normativa, se fosse stato in dotazione e utilizzabile dai presenti , avrebbe potuto evitare la morte di Pastorelli". Ovvero i compagni avrebbero "potuto lanciare il salvagente all’amico in difficoltà". E circa l’impossibilità di determinare la distanza tra imbarcazione e 46enne – "motivo principale della richiesta di archiviazione" –, il gip aveva rilevato come la manovra di avvicinamento fosse stata tentata proprio per la "carenza di un presidio capace di collegare catamarano e bagnate". Sulla distanza tra costa e imbarcazione, il gip aveva infine indicato "circa 300 metri": cioè siamo proprio a ridosso del fatidico limite riportato dai siti specializzati in nautica.

Andrea Colombari