Apertura dei locali contro il Dpcm, è polemica

Anche a Faenza, accanto a bar e ristoranti che accoglieranno i clienti, ce ne sono altri contrari alla protesta: "Non diamo ascolto all’emotività"

Migration

Anche a Faenza la campagna di aperture dei locali per protesta contro gli ultimi Dpcm decisi dal governo Conte, in calendario domani in molte città d’Italia, ha raccolto qualche adesione. Tra i locali che apriranno le loro porte, scorrendo i post su Facebook, figura il bar Qcorner di via Severoli, parte dell’omonima catena. "Abbiamo deciso di aderire per dare un sincero segnale a chi ci governa – si legge nella pagina del locale –. Aprire in sicurezza, rispettando le norme e quei problemi che siamo consapevoli dureranno nel tempo. Non accettiamo la chiusura, ma accettiamo regole e clienti consapevoli e responsabili". E ancora: "Questa per noi è civiltà, non è fallimento economico e morale. Noi non andiamo in piazza, noi apriamo. La nostra azione vuole essere una difesa del nostro diritto a lavorare, non siamo insurrezionalisti, non ci ribelliamo ai Dpcm. Vogliamo essere liberi di manifestare con i nostri mezzi quindi #ioapro".

In città c’è però anche chi fa sentire la propria voce contro i modi della protesta come Massimo Zoli (foto), uno dei due soci del Corona Beer Village in piazza della Libertà. "Capisco la disperazione dei colleghi che hanno deciso di aderire alla protesta – dice –. Se diamo ascolto all’emotività credo che molti opterebbero per quella direzione. Noi, razionalmente, diciamo di no. Non ha senso in primis rischiare ulteriori picchi nei contagi, e in secondo luogo multe e sanzioni per i clienti e per chi lavora". Zoli, comunque notoriamente critico verso la gestione della pandemia messa in campo dal governo Conte e le misure che giudica insufficienti sul fronte economico, conferma le proprie perplessità: "I dati sui contagi parlano da soli, e credo ci dicano che l’obiettivo di farli diminuire non è stato raggiunto. Allo stesso modo, la disperazione di commercianti, baristi e ristoratori è la dimostrazione a mio parere che la risposta non è stata adeguata". Zoli lascia che siano i numeri ad alzare la voce: il suo bar, nel 2020, ha perso 150mila euro di fatturato rispetto al 2018 (l’ultimo anno ‘normale’ per la loro attività, chiusa per gran parte del 2019 a causa dei lavori di ristrutturazione del Palazzo del Podestà. "Significa 155mila di fatturato invece di 400mila – dice –. I ristori hanno coperto appena 6mila euro". All’orizzonte si addensano nubi non solo per il mancato perdere forza della pandemia, ma anche davanti ad un nuovo drammatico dato che sta emergendo proprio in questi giorni: "L’asporto non funziona più. All’inizio poteva apparire qualcosa di diverso, ma è durata poco. Un locale ha senso se può essere frequentato. Fino al 10 gennaio anche noi al Corona abbiamo fatto affidamento sull’asporto per alcune settimane, ma finite le feste abbiamo deciso di non replicare. Il nostro auspicio è che si possa tornare ad aprire davvero, con regole che consentano di convivere con il virus".

Lo stesso clima si respira alla Baita, uno dei più noti ristoranti di Faenza, che sui social ha fatto capire come la pensa lanciando l’hashtag #iononaproil1501. Qui il fatturato 2020 registra un segno meno pari a 150mila euro nel solo periodo del primo lockdown, calcolato rispetto ai mesi dell’anno prima. "Per locali come il nostro, che lavorano soprattutto nei mesi non estivi, significa avere quantomeno dimezzato il fatturato. L’asporto? A oggi ne facciamo solo per la bottega. Durante la settimana non ha mai avuto davvero senso. Torneremo ad aprire con i nostri consueti orari quando potremo farlo, con regole certe".

Filippo Donati