è arivê cvèl ch’ tàja la tësta a e’ bò (È arrivato colui che taglia la testa al bue). Si diceva quando, nel corso di una controversia o in una situazione difficile si presentava colui che per autorità o per fiducia generale, aveva il potere e la facoltà di prendere la risoluzione definitiva. Un potere che, metaforicamente, lo rendeva più forte di un bue, che pure era considerato uno degli animali più possenti e resistenti. Tanto che di qualcuno molto nerboruto si diceva: "L’à ’na förza coma un bò" (Ha una forza come un bue). Oppure "E’ tira coma un bò" (Tira come un bue) per chi lavora senza stancarsi mai, come avveniva durante l’aratura sotto il pungolo "de zarladôr" che, con una frusta o una lunga verga, stimolava la coppia dei buoi.
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