Avvocati a processo, chiesta una condanna

Padre e figlio, ex dirigenti del Meldola calcio, rispondono di infedele patrocinio e appropriazione indebita ai danni di un lughese

Avvocati a processo, chiesta una condanna

Avvocati a processo, chiesta una condanna

Difendevano un lughese dall’accusa di lesioni alla zia. Ma i 12mila euro che aveva loro consegnato, su suggerimento del giudice, quanto meno per limitare i danni, sono spariti, tanto che quell’uomo alla fine aveva rimediato una condanna, poi andata prescritta in appello. Fatto sta che i suoi legali, Pier Paolo e Gabriele Gugnoni, padre e figlio, forlivesi, si sono ritrovati a processo, a Ravenna, con le accuse di infedele patrocinio e appropriazione indebita di quei denari. Per il primo, ultraottantenne, il viceprocuratore onorario Adolfo Fabiani ha proposto l’assoluzione, ritenendo che quanto accaduto vada ascritto alla sola responsabilità del figlio, al cui erano stati indirizzati i bonifici, e per il quale ha così chiesto una condanna a un anno e 5 mesi. Fatti collocati tra novembre 2017 e gennaio 2018.

Gugnoni padre e figlio sono noti a Forlì anche per la loro militanza politica – il primo ex sindaco Dc di Modigliana, il secondo ex consigliere Udc – e come dirigenti del Meldola calcio negli anni d’oro dell’Eccellenza, passione che finì per rappresentare anche la loro rovina, in quanto mescolando toga e pallone si ritrovarono al verde. Il lughese, parte civile con l’avvocato Farolfi, aveva conosciuto i due avvocati tramite il fratello, appunto ex giocatore del Meldola. Davanti al legale della parente malmenata avrebbe firmato un impegno a rifondere il danno. Per altre vicende, Gabriele Gugnoni fu sospeso dall’ordine degli avvocati, mentre il padre non si presentò all’ultima udienza del processo, che finì con la condanna del cliente. "L’avvocato Gugnoni, importante legale del foro di Forlì – lo ha difeso in arringa il collega Roberto Roccari –, è accusato del reato più infamante per un avvocato, qualcosa che non ha commesso. È noto che, in ragione dei suoi problemi di salute, lasciò la gestione dello studio al figlio Gabriele. Anzitutto, è impossibile che possa aver detto ad un cliente che un risarcimento avrebbe estinto un reato di lesioni aggravate, in quanto procedibile d’ufficio. Inoltre, per quell’udienza gli fu negato il legittimo impedimento per motivi di salute. Col consueto scrupolo con cui ha sempre lavorato, fece di tutto per recuperarne l’esito, presentandosi due volte in cancelleria a Ravenna. Non vi fu, dunque, alcun infedele patrocinio. Riguardo all’appropriazione indebita dei 12mila euro, non ne ha mai avuto la disponibilità ma nemmeno notizia, percependo per quel caso una parcella di soli 500 euro". Processato altre volte a Forlì per vicende similari, "sempre dovendo rispondere di ciò che aveva fatto il figlio, dovette vendere tutto, finendo sul lastrico, ma è stato prosciolto da ogni accusa".

Il figlio, Gabriele, è invece tutelato dall’avvocato Giordano Anconelli. Per l’accusa di infedele patrocinio la difesa lo ritiene "un reato impossibile, dato ad ottobre 2017 era interdetto dalla professione", e per questo non partecipò all’udienza incriminata finita con la condanna del cliente. "Il suo torto – ha aggiunto il difensore – fu quello di fare affari col cliente: alla fine si ha sempre torto". Da un lato, infatti, quei bonifici non contenevano causali chiaramente riconducibili a una finalità risarcitoria. Obiettivo che il cliente avrebbe potuto soddisfare "offrendo direttamente quei soldi alla zia malmenata, o all’avvocato di lei, senza fare un giro così tortuoso. Alla fine, dare la colpa all’avvocato è sempre facile". A fine maggio la sentenza del giudice onorario Roberta Bailetti.

l. p.