"Balla, gli amici dovevano capire il pericolo"

Le motivazioni della Cassazione che, accogliendo il ricorso della Procura, chiede di rifare il processo per la morte di Matteo Ballardini

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La cessione di metadone aveva messo in "pericolo concreto il diritto alla salute" di quel giovane studente. Una situazione che "è stata percepita dai presenti in modo inequivocabile" alla luce del manifestarsi di un "prolungato stato di coma o di intenso torpore". È quanto i giudici della Cassazione hanno indicato nelle motivazioni, appena depositate, della sentenza con la quale il 14 giugno avevano bocciato la decisione della Corte d’Assise d’Appello di Bologna di escludere l’omicidio volontario con dolo eventuale per spiegare la morte di Matteo ‘Balla’ Ballardini, lo studente 19enne deceduto per overdose dopo 13 ore di agonia il 12 aprile 2017 a Lugo, nella sua auto appositamente lasciata in un parcheggio fuori mano dai quattro giovani assieme a lui la notte precedente. In primo grado la vicenda era stata inquadrata dal Gup di Ravenna nel solco del dolo eventuale con condanne comprese tra i 15 anni 4 mesi e i 9 anni e 4 mesi. In appello, per effetto di un diverso inquadramento giuridico dei fatti, i quattro imputati si erano visti ridurre sensibilmente le pene (comprese tra 4 anni 10 mesi e 8 mesi). A quel punto la sentenza era stata impugnata dal sostituto procuratore generale di Bologna Valter Giovannini. Tra le altre cose, per gli Ermellini non si può parlare di "mera accettazione del rischio, ma occorre aver riguardo alla volontà intesa come accettazione dell’evento". Ed è quello che dovranno fare i giudici dell’appello bis.

La Procura generale di Bologna, che aveva presentato il ricorso, riteneva che la Corte di assise d’appello avesse "omesso di valorizzare la circostanza relativa al fatto che tutti gli imputati, dediti all’uso di sostanze stupefacenti, non potevano non essersi resi conto del fatto che Ballardini, il quale aveva appena completato un percorso di disintossicazione, era soggetto predisposto a incorrere in uno stato di overdose, che poteva essere risolto solo con l’intervento di operatori sanitari".

I magistrati della Suprema Corte, accogliendo il ricorso, hanno rilevato un "errore di metodo commesso dai giudici di secondo grado" a Bologna, dato che nella loro sentenza hanno diviso "la condotta degli imputati prima e dopo le 3.47, dando per inesorabilmente destinata alla morte la vittima dopo tale orario". Un "ragionamento probatorio basato su considerazioni meramente possibili, presentate in modo inadeguato come risultato di un ragionamento scientifico".

E invece "gli accertamenti medico-legali non consentivano un giudizio in questi termini". Secondo gli Ermellini, i giudici bolognesi hanno inoltre omesso di valutare complessivamente la "condotta della gestione dello stato di incoscienza di Ballardini", in overdose per 13 ore a causa del metadone e annichilito dalla mirtazapina (farmaco antidepressivo) ceduti dall’unica ragazza del gruppo. Il tutto era avvenuto "senza chiamare i soccorsi, come era doveroso".

I giudici romani hanno sottolineato che "chi somministra o cede stupefacente a un tossicodipendente e si accorge di un malore, ha il dovere giuridico di intervenire per consentire un immediato soccorso da parte dei sanitari, che devono subito essere informati di tutte le circostanze utili ben note a chi ha assistito alla fase dell’assunzione dello stupefacente. Si tratta di un dovere – aggiunge la Corte di Cassazione – che nasce sia dal grave pericolo concreto al diritto alla salute cagionato a Ballardini, sia dalla posizione di garanzia assunta nel periodo in cui è durato tale stato, mediante la gestione della vittima per un tempo consistente", quindi con "la decisione di non dire la verità alla madre che cercava di avere notizie dal figlio, di non avvisare il soccorso sanitario e di spostare in luogo meno visibile ai terzi l’auto nella quale lo stesso Matteo Ballardini si trovava in stato di incoscienza".

Da ultimo, vengono definite "illogiche e inconsistenti" le argomentazione dei giudici d’appello circa "la fiducia degli imputati nella pronta ripresa" dell’amico, "nonostante l’assunzione contemporanea di metadone e mirtazipina (uno psicofarmaco), atteso che questa fiducia "non può elidere l’evento letale come conseguenza di una overdose".

Lorenzo Priviato