Berkan B Ravenna, indagine chiusa. Tre sotto accusa

La procura vuole portare a processo i vertici dell’Autorità portuale. L’accusa è di inquinamento ambientale

Il relitto della Berkan B (foto Zani)

Il relitto della Berkan B (foto Zani)

Ravenna, 16 gennaio 2020 - Il reato delineato per tutti e tre, è quello di inquinamento ambientale. E l’avviso di conclusione indagine appena recapitato ai diretti interessati, significa che la procura intende portarli a processo. A dovere rispondere delle conseguenze del parziale affondamento in piallassa della Berkan B con fuoriuscita di idrocarburi, saranno dunque i vertici di Autorità Portuale a partire dal presidente Daniele Rossi per proseguire con il segretario generale Paolo Ferrandino e infine troviamo il dirigente amministrativo Fabio Maletti.

È stata invece stralciata la posizione del quarto indagato, ovvero il perito industriale Loriano Bernardini, proprietario dello scafo e titolare di un’impresa individuale specializzata nel taglio dei metalli. Come prevede la legge, a questo punto i diretti interessati potranno chiedere alla procura di essere ascoltati. Nel caso, sarebbe la terza volta. Perché era già accaduto una prima volta nel corso dell’estate davanti al pm Angela Scorza, titolare dal fascicolo assieme al procuratore capo Alessandro Mancini. E poi il 23 settembre davanti al gip Janso Barlotti che due giorni dopo li aveva sospesi tutti e tre dall’incarico per un anno per pericolo di reiterazione del reato con conseguente nomina di un commissario esterno.

Il penultimo capitolo della vicenda, porta la data del 28 ottobre scorso quando il tribunale del Riesame di Bologna aveva deciso per l’azzeramento della sospensione ripristinando di conseguenza l’organigramma del vertice di Autorità Portuale. Tecnicamente si era trattato di una riforma dell’ordinanza e, per l’effetto, di una revoca delle misure interdittive. Ovvero di qualcosa che faceva presumibilmente riferimento alle sole necessità cautelari. In attesa di motivazioni, di fatto nel dispositivo naturalmente nulla era stato indicato circa la sussistenza del cosiddetto fumus, ovvero di sufficienti presupposti per delineare il reato contestato.

Tanto che la procura si era mossa per completare l’analisi del materiale giunto dalle consulenze tecniche disposte sul relitto. Tra le ultime depositate, figura quella di un ingegnere navale secondo il quale già nel 2018, ancora prima che la Berkan B affondasse, sarebbe stato possibile individuare le casse carburante per procedere a bonifica. Tanto che un operaio di Secomar, era stato fotografato mentre, a relitto già affondato, realizzava operazioni di aspirazione dai tubi di sfogo delle casse: ovvero era stato in grado di individuarle.

In assoluto, la prima consulenza finita sul piatto dell’accusa, aveva però riguardato i gabbiani trovati morti attorno al relitto: deceduti proprio a causa della fuoriuscita di idrocarburi, secondo l’istituto zoo-profilattico sperimentale (sede di Lugo). Le carcasse prelevate il 5 luglio dall’area adiacente al relitto, si presentavano non solo imbrattate di materiale oleoso: ma i pennuti erano pure dimagriti e senza cibo nello stomaco. Ebbene, il deterioramento della fauna di un ecosistema rappresenta appunto uno dei parametri per contestare il reato di inquinamento ambientale.