"Caffè killer", il cuoco deve restare in carcere

Tentato omicidio della ex moglie: il tribunale del Riesame ha respinto la richiesta della difesa. I legali pronti al ricorso in Cassazione

Dovrà rimanere in carcere. E’ quanto deciso dal tribunale del Riesame di Bologna per il cuoco ultra-quarantenne di Faenza fermato dai carabinieri del nucleo Investigativo all’alba del primo ottobre scorso con l’accusa di tentato omicidio pluriaggravato, maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della moglie dalla quale si è separato. Con decisione notificata giovedì sera, i giudici bolognesi hanno respinto l’istanza della difesa - avvocati Carlo Benini e Renato Conte - per l’applicazione almeno di una misura restrittiva più blanda (vedi i domiciliari) confermando dunque la custodia cautelare decisa dal gip Janos Barlotti su richiesta del pm Cristina D’Aniello titolare del fascicolo. Entro 45 giorni verranno depositate le motivazioni: a quel punto la difesa si è riservata di proporre ricorso in cassazione.

Secondo quanto contestato dall’accusa, il cuoco non solo aveva cercato di avvelenare la ex moglie offrendole ogni giorno da qualche settimana una tazzina di caffè corretto con un farmaco anticoagulante che la donna già assumeva sotto prescrizione medica e che dunque era in grado potenzialmente di provocarle emorragie se somministrato in sovra-dosaggio. Ma aveva iniziato pure a usare un vasodilatatore con il presunto obiettivo di rendere tali eventuali emorragie inarrestabili nel giro di pochi minuti.

Le azioni dell’uomo sono state documentate attraverso intercettazioni video nelle quali lo si vede mentre prepara il caffè versando nella tazzina destinata alla ex una doppia dose di un vasodilatatore meticolosamente sminuzzato grazie alla pressione esercitata con una lama di coltello. Le indagini sul suo conto erano scattate quando la moglie, insospettitasi sia per le improvvise premure del consorte nonostante una separazione fino a quel momento tumultuosa che per il cattivo sapore del caffè, si era rivolta ai carabinieri della caserma manfreda più vicina facendo così scattare sul fronte investigativo il codice rosso.

Le prime analisi affidate a una consulente della procura (il medico legale Elia Del Borrello, responsabile del laboratorio di tossicologia forense dell’università di Bologna) avevano confermato il fatto che nel caffè ci fosse anti-coagulante. Il che significa che in caso di sovra-dosaggio, la donna sarebbe morta per emorragia interna: caratteristica questa che secondo l’accusa avrebbe potuto fare prendere alla vicenda la piega del delitto perfetto dato che la signora in effetti seguiva una terapia farmacologica proprio a base di tale farmaco le cui pasticche sono di colore bianco. Le verifiche sono poi proseguite sulle pasticche di colore giallo notate sempre nei video di preparazione dei caffè fino a giungere ai più recenti sviluppi accusatori circa il possibile uso di un secondo medicinale dagli effetti antagonisti rispetto al primo.

Nella sua denuncia donna aveva inoltre riferito che l’ex, che spesso frequentava la sua abitazione nonostante la separazione, la obbligava a rapporti sessuali minacciandola, in caso contrario, di farle venire meno la quota mensile del mantenimento (circa 300 euro). A riscontro, sono emerse due circostanze delle quali la donna aveva parlato con la sua psicologa e per le quali il suo medico curante l’aveva messa in guardia per via della pericolosità della scelta per la propria incolumità fisica: un paio di interruzioni volontarie di gravidanza molto ravvicinate e legate al fatto che la fecondazione a suo dire fosse avvenuta tramite violenze a suo dire subite dell’ex.

Da parte sua l’indagato davanti al gip aveva sostenuto che con quelle pasticche voleva "solo tranquillizzare" la ex per farle seguire la giusta terapia. E che non l’aveva mai picchiata ("al massimo ho alzato la voce") né mai aveva preteso rapporti sessuali ("abbiamo continuato ad averne fino a poco prima dell’arrivo dei carabinieri"). La difesa già in quelle sede aveva chiesto in buona sostanza di ricondurre il tutto al massimo alle lesioni personali concedendo al cuoco i domiciliari.

Andrea Colombari