Omicidio Ballestri Ravenna, la Cassazione: "Cagnoni era lucidissimo quando ha ucciso"

Depositate le motivazioni della sentenza che ha reso definitivo l’ergastolo del medico per l’omicidio della moglie. Stroncata la finta infermità

Matteo Cagnoni nel processo di primo grado a Ravenna

Matteo Cagnoni nel processo di primo grado a Ravenna

Ravenna, 21 aprile 2021 - Le bugie talvolta diventano verità. Ma più spesso finiscono col ritorcersi contro chi le ha dette. Una montagna, quelle uscite in questi anni dalla bocca e dalla penna di Matteo Cagnoni. Sebbene comprensibile e coraggioso nella chiave di strategia processuale intrapresa dal suo ultimo difensore, l’avvocato Gabriele Bordoni, il cui obiettivo era limitare i danni, l’ultimo tentativo di scappatoia, quello della semi infermità mentale al momento del delitto, viene letteralmente fatto a pezzi dalla Corte di Cassazione. Che, dopo aver confermato l’ergastolo lo scorso 27 gennaio, ora in venti pagine di rara chiarezza cristallina spiega come, perché e con quali retro pensieri il 56enne dermatologo il 16 settembre 2016 ha ucciso la 39enne moglie Giulia Ballestri. E come il suo tentativo di dichiararsi in stato di alterazione mentale, mentre la colpiva col randello e ne cancellava le fattezze del bel viso contro lo spigolo del muro, abbia fatto acqua da tutte le parti.

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Niente perizia . "La preparazione dell’azione omicida, la sua esecuzione e la condotta sono incompatibili con lo stato di seminfermità – scrive il consigliere estensore Francesco Centofanti (presidente Mariastefania Di Tomassi) – perché, al di là dell’evidente concitazione e imperfezione nell’operare, denotano una chiara lucidità di azione" e "non esiste elemento a sostegno di una psicopatia". Ciò porta gli ermellini a stabilire che "i delitti commessi gli appartengono psichicamente". E per questo la perizia psichiatrica, che la difesa chiedeva sin dal processo di appello, ma non in quello di primo grado, "è stata ragionevolmente ritenuta superflua". Per suffragare questa tesi la Cassazione riporta l’esito delle valutazioni cliniche fatte dagli specialisti su Cagnoni.

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Anzitutto lo psicologo Tadolini, che prima dell’omicidio lo aveva in cura, aveva riferito della sua "personalità narcisistica e vendicativa, aliena da disturbi psichici". Il consulente della difesa fu poi autore di relazioni tra loro contrastanti. In un primo elaborato il professor Ferracuti – di cui nel processo di primo grado la difesa rinunciò all’escussione in aula – "non aveva rilevato l’esistenza di alcun disturbo grave di personalità antecedente la detenzione". Tuttavia lo stesso medico "aveva cambiato opinione nel parere clinico richiamato nei motivi aggiunti di appello" formulando "seppure in via ipotetica una diagnosi di disturbo di personalità grave". Ma, scrivono i giudici, "questo mutato parere non era suffragato da alcuna evidenza documentale". La documentazione medica, insomma, "non riscontrava alcun grave disturbo preesistente al delitto che potesse aver influito sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato". Quel disturbo di personalità border line , descritto poi dallo psichiatra forense Cirasi, viene ritenuto "comune agli autori di femminicidi, mossi all’azione dall’incapacità di accettare l’abbandono ad opera del partner". Al contrario, proprio "l’agire connotato da errori marchiani e superficialità (il reinserimento dell’allarme nella villa del crimine, il goffo tentativo di cancellare le tracce dell’omicidio, la mancata considerazione delle numerose telecamere di sicurezza) non era indice di seminfermità, ma di concitazione e inesperienza criminale". La Corte aveva rigettato anche le altre pretese di nullità del processo d’appello. Sulla sua assenza per ragioni di salute "l’imputato, seppur provato dalla detenzione, non era affetto da malattia psicotica, tale da menomare la sua cosciente e dignitosa partecipazione".

Quanto alle aggravanti, quella della crudeltà per la brutalità dell’omicidio, secondo la difesa era da attribuire all’inadeguatezza del mezzo originariamente prescelto, cioè il bastone, e da qui l’incalzante agire aggressivo. Al contrario, per la Cassazione il processo ha restituito l’operato "di un assassino che avrebbe potuto rapidamente uccidere con i mezzi già accuratamente predisposti" mentre invece "decise, in una feroce progressione, di passare a modalità estemporanee, afflittive oltre ogni immaginabile misura e dilatate ferocemente nel tempo". Quanto alla premeditazione, che per la difesa sarebbe stata piuttosto una preordinazione, gli ermellini la individuano "nei messaggi minatori inviati alla moglie diversi giorni addietro" inoltre il medico "ben due giorni prima aveva dato avvio alla macchinazione", chiamando l’antiquario per la messinscena del dipinto d’autore da repertare nella villa di via Genocchi, disdicendo gli appuntamenti e licenziando l’investigatore privato. I giudici lo definiscono più volte "vendicativo" e "narcisistico" e puntano i riflettori su quello "spregevole contesto, imbevuto di sopraffattorio e criminale maschilismo".

In pratica Cagnoni "non sopportava che la donna si fosse legata a una persona avente una posizione sociale e culturale da lui giudicata inferiore alla propria". E questo sebbene, al processo che ancora lo vede imputato per l’aggressione al rivale, Stefano Bezzi, ora si affanni ad agitare altre presunte motivazioni. Anche sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, la Cassazione è lapidaria nell’attribuirgli una "assenza di qualsivoglia segno interiore di resipiscenza e rivisitazione critica".