"Camaldoli e S.Apollinare: il fil rouge che li lega" L’incontro con don Ubaldo

Questa sera alle 21 all’arena estiva del parco del museo Classis . una tappa del ciclo ‘Storie di Ravenna’ con il bibliotecario dell’eremo.

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di Roberta Bezzi

A far luce sull’indissolubile legame tra la basilica di Sant’Apollinare in Classe e il Sacro Eremo di Camaldoli, sarà lo storico della teologia, don Ubaldo Cortoni, responsabile della biblioteca antica del noto eremo. E lo farà, questa sera alle 21 all’arena estiva del Parco Archeologico di Classe, nell’ambito della rassegna estiva ‘Classe al chiaro di luna’. All’appuntamento denominato ‘Storie di Ravenna. La basilica e la città. Storie di Sant’Apollinare’, realizzato da Ravenna Teatro in collaborazione con RavennAntica, parteciperanno anche l’attore del Teatro delle Albe Luigi Dadina, Giovanni Gardini del Museo Diocesano di Faenza-Modigliana, lo storico e direttore della Fondazione Casa Oriani Alessandro Luparini, Guido Ceroni e Laura Orlandini dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Ravenna e Maria Cristina Carile del dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna. Non mancheranno interventi musicali dal vivo a cura di Simone Marzocchi (apertura cancelli ore 20, ingresso 5 euro, informazioni al numero 328.4815973).

Don Ubaldo Cortoni, da dove inizia il suo ragionamento sul legame tra la congregazione camaldolese e la nota basilica di Sant’Apollinare?

"Dal cosiddetto atto fondativo. Si racconta che, nel 972, Romualdo degli Onesti – fondatore dell’Ordine dei Camaldolesi – mentre si trovava a Classe per espiare i peccati del padre che aveva ucciso un parente, ebbe dinanzi a questo altare la visione di Sant’Apollinare. Il santo uscì da sotto l’altare, dove si trova una lastra in porfido e dopo aver incensato tutti gli altari, ritornò dove era venuto. Questa visione convince il futuro San Romualdo a prendere i voti".

Accanto alla basilica fu costruito un monastero prima benedettino poi camaldolese. Che fine ha fatto?

"A seguito dei disastri provocati dalla battaglia di Ravenna dell’aprile 1512, i camaldolesi sono stati costretti a lasciare la basilica di Classe per costruire il grande monastero di Ravenna, dentro le mura. Qui vennero trasferiti anche i volumi che poi diedero vita alla biblioteca Classense".

Da circa vent’anni dirige la biblioteca dell’eremo di Camaldoli. Come ‘interpreta’ il suo ruolo?

"Sono felice di essere non solo il custode della memoria ma anche della storia di un ordine di monaci molto volonterosi che si sono distinti in molteplici campi. Il prossimo dicembre apriremo una nuova biblioteca intitolata a Edoardo Baroncini, che nel 1693 effettuò un’importante opera di riordino e valorizzazione della biblioteca, con nuove piste di ricerca camaldolese".

Qual è oggi la sfida più grande di una grande biblioteca come la vostra?

"Rendere la cultura e la ricerca alla portata di tutti, nella consapevolezza che sono il confronto e la tolleranza il sapere può crescere. Così come la storia non racconta nulla se ci ferma alle sole date, anche la cronaca di oggi è sterile se limitata ai fatti".

Eppure oggi si pensa di sapere molto proprio perché si hanno molte informazioni…

"E, invece, è proprio il contrario. E l’errore più frequente è di ricercare informazioni solo per confermare i nostri pregiudizi, senza realmente essere capaci di aprirci e allargare i nostri orizzonti".