Camminare senza meta, moda recente

Migration

di Beppe

Sangiorgi

Due o tre volte la settimana faccio il ’Giro della Breta’, un percorso ad anello che parte da Casola e vi ritorna dopo circa tre chilometri: una ’sgambata’ consueta per i casolani. È un percorso che si può coprire in tutta tranquillità in quanto senza rischio di contagio permettendo il distanziamento, dall’aria aperta. A proposito, non ho mai visto tanta gente compiere il giro come nel periodo ’giallo’ appena concluso. Una sorpresa ed anche una fonte d’imbarazzo a causa della cortesia che vige tra i camminatori: quando due s’incontrano è d’obbligo salutare, ma a causa della mascherina non si sa con chi si ha a che fare. E allora al saluto si aggiunge: "Chi siete?" perché nell’incertezza tra il lei e il tu si prende una via di mezzo col voi, che va sempre bene. A pensarci bene, camminare per il solo gusto di camminare appartiene alle generazioni nate dopo la guerra. Prima si camminava solo per bisogno, Tant’è che tempo fa un mio vicino molto anziano, nel vedere passare due giovani che facevano trekking mi chiese: "Ma cvëj che là csa fai? Dôv vai?", cioè "Quelli là cosa fanno? Dove vanno?". Gli ho spiegato che non avevano una meta, ma camminavano per il gusto di camminare, suscitando nel vecchio scarsa considerazione per le facoltà mentali dei due, plasticamente resa con lo ’scossamento’ della testa. E se per caso un tempo c’era qualcuno che camminava allungando inutilmente il percorso veniva bollato con "E’ fa e’ ziratêri", fa il girattario, termine attribuito anche a chi faceva commissioni. Commentavano anche "E’ fa e’ zir dla pujâna", fa il giro della poiana, che prima di lanciarsi sulla preda gira a lungo in cerca della miglior posizione per catturarla. Ancora peggio si diceva di una donna sempre in giro, anche senza una meta o una necessità: "S’la fóss ’na galéna l’a-n farev l’ôv in ca", se fosse una gallina non farebbe l’uovo in casa.