Capi firmati, neoschiavismo e lavoro minorile

Gli alunni di 5^C della scuola primaria ‘Rodari’ di Mezzano riflettono sui fenomeni che possono celarsi dietro abiti alla moda

Capi firmati, neoschiavismo e lavoro minorile

Capi firmati, neoschiavismo e lavoro minorile

Noi alunni di 5^C della scuola primaria ‘Rodari’ di Mezzano pensiamo che avere abiti di marca ci faccia sembrare più appariscenti e ci ponga al centro dell’attenzione dei nostri coetanei. Quando non mettiamo capi griffati e guardiamo gli altri indossare scarpe, abiti, accessori firmati ci sentiamo inferiori e fuori moda al punto che, se non ci adeguiamo, alcuni “amici” tendono a escluderci dal loro gruppetto.

Non tutti però possono comprare oggetti di marca e quando se li possono permettere si sentono felici. Però questa felicità non dura molto a lungo perché la moda corre più veloce di noi e cambiare continuamente scarpe e abiti non influisce sul nostro reale benessere, ma ci porta a essere viziati.

Le apparenze a volte ingannano; spesso dietro ai brand famosi si nasconde il neoschiavismo o lo sfruttamento minorile. Il neoschiavismo è una forma di speculazione in cui il dipendente viene sottopagato e costretto a lavorare in condizioni pessime. Molti minorenni e adulti lavorano dalle 14 alle 16 ore al giorno soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Il lavoro minorile è causa e non solo conseguenza della povertà: infatti, i bambini sfruttati non possono studiare e sperare di migliorare la propria vita.

Nel mondo, secondo il recente rapporto Unicef, sono 160 milioni i bambini e adolescenti costretti a lavorare; 63 milioni di ragazze e 97 milioni di ragazzi sono coinvolti in diverse forme di lavoro minorile; si stima che quasi 1 bambino su 10 lavori sottopagato e in condizioni pessime; 79 milioni di loro svolgono lavori pericolosi o che possono danneggiare direttamente la loro salute e il loro sviluppo psico-fisico. L’80% dei capi esportati nei Paesi benestanti viene prodotto in Bangladesh. I bambini lavorano 6 giorni su 7 e guadagnano solo 2 o 3 euro al giorno, mentre gli adulti ne guadagnano circa 9. I bambini sono spesso costretti a lavorare per aiutare le proprie famiglie in difficoltà e di solito sono loro a proporsi nelle fabbriche soprattutto tessili e di abbigliamento. Le famiglie di questi bambini talvolta sono costrette a scappare dai propri Paesi in cui c’è la guerra e si trovano a vivere in grande povertà in altri Stati dove vengono poi sfruttate. Alcuni bambini lavorano in condizioni critiche, con spazzatura per terra, mancanza di finestre quindi anche di luce. Spesso queste fabbriche in realtà sono sotterranei simili a discariche. Il mercato che compra di più da questi paesi è quello Europeo. Seppur le condizioni siano pessime, i bambini si dicono felici di lavorare perché sanno di contribuire alle spese familiari e di avere almeno garantita la possibilità di comprare il cibo necessario per sopravvivere. Tuttavia molti di essi esprimono il desiderio di andare a scuola e diventare maestri e professori. Non lo saranno mai. Dopo aver approfondito l’argomento noi di 5^C siamo diventati più consapevoli che i vestiti che comperiamo potrebbero essere stati prodotti da persone sottopagate e frutto di sofferenza. Se in Bangladesh e in altri paesi avessero una Costituzione come nella nostra o fossero in linea con la Carta dei diritti dei bambini dell’Onu e dell’Unicef, questa cosa atroce non accadrebbe.

Classe 5^C

Scuola primaria ‘Rodari’

di Mezzano

Prof.ssa Elena Zauli