Caso mascherine: "Ricorso contro il sequestro"

L’azienda faentina, Klinicom: "Le accuse mosse riguardano un lotto di prodotti con certificazioni rilasciate da altri e risultate non valide"

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"Riteniamo di poter chiarire gli addebiti contestati. Ci sono misure cautelari gravosissime per un’impresa, con rischio di conseguenze definitive perché è in condizione di incapacità totale ad operare". Parole di Vittorio Manes, legale della Klinicom, azienda faentina oggetto di pesante provvedimento di sequestro di 11 milioni di beni disposto dal tribunale di Bologna. L’azienda faentina è finita nel mirino della Guardia di Finanza per una fornitura di mascherine destinate alla sanità regionale e risultate, secondo le Fiamme gialle, con certificazioni irregolari e – per quanto riguarda un lotto sottoposto a una perizia –, con un’efficacia sotto ai parametri di legge. I legali dell’impresa precisano che "le accuse mosse riguardano un lotto di mascherine munite di certificazioni rilasciate da terzi e risultate non valide".

Nello specifico "La Klinicom s.r.l. – si legge nella nota dei legali dell’azienda – che da 30 anni opera nel settore delle forniture ospedaliere, e che nel contesto della pandemia ha consegnato con efficienza e affidabilità DPI alle aziende sanitarie nazionali, era stata indotta in errore da tali certificazioni e nell’immediatezza aveva provveduto a sostituire le mascherine non conformi con altri dispositivi che sono stati ritenuti idonei da parte della Procura della Repubblica di Bologna che li ha sottoposti ad esami di laboratorio. La Klinicom già prima del sequestro aveva avviato azioni legali nei riguardi del fornitore cinese e ordinato lo smaltimento della merce, sopportando i costi e le perdite conseguenti a tale condotta da parte di terzi. Nessun ‘doppio ricarico"’è stato mai praticato sul prezzo di vendita agli ospedali dei dispositivi di protezione individuale I in quanto questo era stabilito prima dell’importazione e non è mai variato al momento della consegna come dimostrato con una consulenza tecnica di parte". La società proporrà riesame avverso il provvedimento di sequestro sostenuta nel convincimento della sua infondatezza".

L’indagine della Guardia di Finanza ravennate era iniziata lo scorso anno quando dai controlli era emerso che l’azienda, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, aveva importato dalla Cina dispositivi di protezione individuale per decine di milioni di euro, utilizzando la speciale procedura di ‘svincolo diretto’ che prevedeva, secondo le norme europee, l’esenzione di dazi e iva qualora fossero stati immediatamente consegnati senza alcun ricarico commerciale alle strutture sanitarie pubbliche impegnate nella lotta al Covid.

Le Fiamme Gialle tuttavia avevano individiuato nelle dichiarazioni doganali presentate agli uffici delle Dogane di Bologna documenti ritenuti falsi o contraffatti. Inoltre, secondo la Finanza, la merce sarebbe stata venduta a prezzi maggiorati a un’altra azienda controllante della prima e con lo stesso legale rappresentante. I finanzieri avevano poi accertato che almeno 1,4 milioni di mascherine Ffp2 erano state vendute all’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, la quale svolgeva il ruolo centrale di acquisto per l’intera struttura sanitaria regionale e che aveva poi sollevato dubbi sulla bontà della merce. Le mascherine, non ancora distribuite sul territorio in via prudenziale - erano state sostituite fino a quando nell’agosto 2020 ne era stato disposto il ritiro. In base alle risultanze emerse il pm della Procura Europea della sede di Bologna aveva disposto il sequestro probativo su oltre un milione di mascherine ancora presenti nei magazzini ed era stata disposta una perizia tecnica.

I test, condotti a campione, hanno poi accertato – ha riferito la Finanza – che le mascherine FFp2 oltre a non essere certificate non sarebbero state nemmeno efficaci in quanto non non rispondenti ai parametri di penetrazione previsti per legge. La Finanza ha quindi ipotizzato nei confronti dell’amministratore delle società coinvolte e di un consigliere del CdA i reati di truffa aggravata ai danni di ente pubblico e di falsità ideologica e materiale commessa dal privato in atto pubblico.

Nei giorni scorsi si è proceduto ai sequestri per l’ammontare di 11 milioni di euro dei quali 4,2 milioni sono la cifra quantificata come profitto del reato di contrabbando (evasione di iva e dazi), mentre 7,1 milioni sarebbero il guadagno della truffa.

Damiano Ventura