ANDREA COLOMBARI
Cronaca

Centro massaggi ’hot’. Patteggia per prostituzione ma può restare in Italia. Non deve tornare in Cina

La sentenza del Consiglio di Stato sconfessa la revoca del permesso allo straniero decisa dalla questura e ribalta la sentenza del Tar "Il diritto all’unità familiare nel nostro caso prevale sull’ordine pubblico".

La sentenza del Consiglio di Stato sconfessa la revoca del permesso allo straniero decisa dalla questura e ribalta la sentenza del Tar "Il diritto all’unità familiare nel nostro caso prevale sull’ordine pubblico".

La sentenza del Consiglio di Stato sconfessa la revoca del permesso allo straniero decisa dalla questura e ribalta la sentenza del Tar "Il diritto all’unità familiare nel nostro caso prevale sull’ordine pubblico".

Assieme alla moglie, aveva gestito un centro massaggi ravennate. Là dentro però non si facevano solo “massaggi“: tanto che davanti al gup, l’uomo aveva patteggiato un anno e sei mesi di reclusione e 1.600 euro di multa (con pena sospesa) per sfruttamento della prostituzione in concorso con la consorte. Uguale a revoca, da parte della questura di Bologna, del permesso di soggiorno avvallata poi anche dal Tar. Il Consiglio di Stato ha però ora ribaltato tutto stabilendo in buona sostanza che il nostro, pur con quell’esperienza penale alle spalle, può mantenere la carta di soggiorno di durata illimitata dato che nel suo caso deve prevalere il diritto all’unità familiare sull’interesse all’ordine pubblico.

Una vicenda più unica che rara quella che ha avuto come protagonista un 40enne cinese titolare di un bar, difeso dall’avvocato Andrea Maestri e da una quindicina di anni in Italia. Il decreto del questore di revoca del permesso, gli era stato notificato a inizio agosto 2020 sulla base di quanto accaduto al centro massaggi. Secondo la sentenza del Tar pubblicata il 15 maggio 2024, la pena legata alla vicenda era un dato di fatto: quindi nella revoca del permesso, non erano state ravvisate illegittimità. Unica consolazione per il cinese, le spese di giudizio: compensate, "attesa la particolarità della questione". L’uomo però non si era dato per vinto rivolgendosi a Roma per evidenziare davanti ai giudici amministrativi capitolini che la questura aveva omesso di considerare che il gup aveva accettato il patteggiamento ritenendo il fatto lieve. Inoltre aveva sottolineato di percepire un salario medio mensile (circa 950) sufficiente per mantenere la sua famiglia; di essere sposato con una connazionale regolare, di avere un figlio piccolo che come tale necessita di ambo i genitori: un diritto fondamentale fissato nelle convezioni di settore.

Un ricorso fondato, secondo i giudici del Consiglio di Stato, che, come tale, va accolto. Del resto - si legge nella sentenza pubblicata lunedì - per il "consolidato orientamento giurisprudenziale, diniego e revoca del permesso di soggiorno" per soggiornanti di lungo periodo, "non possono essere adottati in automatico alla presenza di una condanna penale". Serve cioè un giudizio pericolosità sociale dell’individuo calato nella sua situazione: durata del soggiorno oltre che inserimento sociale, familiare e lavorativo. Il tutto va infine bilanciato con l’interesse alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato. Nel nostro caso, non si era tenuto conto "dell’effettiva situazione familiare" del 40enne e del suo lungo periodo in Italia, Paese nel quale potrà ora rimanere.

Andrea Colombari