Chiusa di San Bartolo Ravenna, "Tragedia evitabile"

Ravegnana, il rapporto dei consulenti: "Ignorati quattro incidenti analoghi"

Lo scorso ottobre un crollo causò la morte di Danilo Zavatta

Lo scorso ottobre un crollo causò la morte di Danilo Zavatta

Ravenna, 29 luglio 2091 - «In queste condizioni, il visto al progetto esecutivo non avrebbe dovuto essere rilasciato». Non occorre una complicata analisi del testo per capire le conclusioni dei due consulenti della procura di Ravenna, gli ingegneri Paolo Mignosa e Andrea Segalini, sull’iter amministrativo-autorizzativo dell’opera in questione. Ovvero l’impianto per la produzione di energia idroelettrica alla chiusa di San Bartolo il cui crollo parziale del 25 ottobre scorso causò la morte del tecnico 52enne della protezione civile Danilo Zavatta di Savio.

La conseguente maxi-inchiesta dei pm Alessandro Mancini e Lucrezia Ciriello vede otto indagati a piede libero per disastro colposo e per omicidio colposo. E tra i quesiti che hanno alimentato le 50 pagine di relazione dei due ingegneri depositate nei giorni scorsi, oltre alle ragioni del crollo, figura appunto la regolarità dell’iter.

Per capire quali siano «queste condizioni» che secondo i due esperti avrebbero dovuto impedire di rilasciare il visto, partiamo dagli anni 1906-1907 quando viene realizzata la «traversa sul fiume Ronco». In seguito ai danni subiti durante la seconda guerra mondiale, a partire dagli anni ’50 viene modificata sino ad assumere l’aspetto che ha oggi. Nel progetto del 1954, figura un ‘taglione’. E cioè un manufatto sistemato a valle oltre 5 metri sotto al livello dell’alveo proprio per impedire quei fenomeni di filtrazione dell’acqua alla base della tragedia del 25 ottobre. Un mistero questo ‘taglione’ perché «avrebbe dovuto essere intercettato, e quindi tagliato, durante la realizzazione del canale idroelettrico»; eppure i due esperti della procura «non hanno trovato traccia di segnalazioni». Ci sono però fotografie del 25 ottobre che «mostrano elementi in calcestruzzo dotati di puntale» e che «potrebbero ricondursi a spezzoni del taglione».

In ogni modo, il percorso delle autorizzazioni parte nel gennaio 2013 con la Via, valutazione di impatto ambientale, presentata dalla Gipco srl di Forlì alla giunta della Provincia di Ravenna che l’approva il 16 aprile di un anno dopo. L’11 aprile sempre 2014, è quella che sarebbe poi diventata agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la protezione civile (Astpc) a rilasciare le concessioni di sua competenza.

La relazione di calcolo strutturale dello Studio Sampieri di Forlì, è del giugno 2016. Mentre la comunicazione di inizio lavori per le opere non strutturali, è del 6 luglio 2016: viene indirizzata al Comune, ad Arpae e alla Astpc. Quest’ultima rileva opere provvisionali non autorizzate e non previste. E contesta la mancanza di studi idraulici necessari. Così il 10 novembre 2016 comunica la sospensione lavori a cui il 2 dicembre si aggiunge da Arpae la sospensione provvisoria della concessione. Dopo la trasmissione di più documenti, il 28 dicembre di quell’anno viene apposto il visto e il 3 febbraio 2017 Arpae revoca la sospensione della concessione.

Ma per i consulenti dei pm, nel progetto definitivo mancavano «studi di compatibilità idraulica». Ciò significa che «concessione idraulica e autorizzazione unica» non avrebbero dovuto essere date, e invece furono «rilasciate con la prescrizione di un visto preventivo» e la conseguente supervisione delle opere. Non solo: nelle consulenze si legge anche di avvisaglie ignorate «in almeno altre due documentate occasioni», nell’aprile 2017 e nel settembre 2018. Di più: testimonianze raccolte durante l’indagine, «sembrano indicare anche altri avvenimenti di natura simile», insomma, altri incidenti analoghi che portano a quattro i potenziali campanelli d’allarme mai ascoltati.