"Con lei decessi di 3-5 volte sopra alla media"

Secondo la perizia statistica, di giorno tasso di mortalità più alto quando c’era l’ex infermiera Poggiali in servizio

Migration

Il tasso di mortalità dei pazienti legato all’allora infermiera Daniela Poggiali è "tre-cinque volte" più alto "rispetto alla media delle medie degli altri infermieri" con i decessi che, per frequenza, sembrano concentrarsi "quasi esclusivamente nell’ultimo semestre".

Alessandro Farcomeni, professore dell’università di Roma ’Tor Vergata’ incaricato dalla corte d’assise d’appello di Bologna per tracciare il solco nei dati Ausl, ha dalla sua una professionalità che traspare da un linguaggio calmo e competente. I numeri sono numeri, obietterà qualcuno: ma questa è statistica forense e la metodologia con cui si maneggiano i numeri fa la sua bella differenza nel risultato finale. Le parti lo sanno: e sono lì, in metaforico agguato pronte a infilzare il nostro con aguzze obiezioni. E invece "ho usato entrambe", sgombera subito il campo l’esperto parlando al microfono giusto di fronte all’imputata a pochi metri sempre dietro alle sbarre. Che, per i lettori amanti della scienza, sono "il metodo classico frequentista" e "il metodo bayesiano".

Aggiornamento Daniela Poggiali assolta il 25 ottobre

Fine della prefazione: nel centro della sintesi c’è quel dato sulle tre-cinque volte. Solo di giorno perché "nel turno di notte, si ha un appiattimento dei dati". "Una stranezza", rileva il presidente della corte Stefano Valenti prima di sciorinare la sua ipotesi: "Non potrebbe darsi che di notte non c’è nessuno e gli infermieri dormicchiano e così i morti vengono conteggiati al mattino?". Una risposta che il perito non può conoscere anche perché l’analisi statistica - come del resto si può apprezzare nelle conclusioni del suo lavoro - "non può per la natura dei dati avere alcun valore causale". Concetto quest’ultimo a più riprese ribadito dal consulente della difesa, la professoressa Julia Mortera dell’università di Roma: "L’associazione con alti tassi di mortalità, non è in nessun modo interpretabile", scandisce giusto prima di ricordare che esistono quelli che gli addetti ai lavori chiamano ’confondenti’, ovvero fattori talvolta "ignoti o non misurabili".

"Non ho domande da fare - dice il professor Rocco Micciolo dell’università di Verona consulente per l’accusa -. Le nostre conclusioni sono sostanzialmente coincidenti con la perizia circa un eccesso associato" all’imputata. E ammette che "i dati presenti superano la nostra" analisi. Il riferimento è per il nuovo metodo di appaiamento al quale "posso dire di non avere pensato". Sì, perché il perito lo ha proposto tra l’infermiera e colleghi con turni analoghi invece che tra settori dello stesso ospedale. Un po’ come se "l’imputata fungesse da controllo di se stessa". Un’analisi ripetuta "tantissime volte - prosegue Micciolo - così da eliminare le fluttuazioni casuali". Annuisce il perito: "Queste tecniche sono le stesse per le quali la settimana scorsa è stato vinto il Nobel".

Il consulente della difesa torna a incalzare ricordando che a suo tempo il direttore dell’Ausl "non aveva trovato alcuna differenza significativa tra gli ospedali del distretto".

Cioè sia a Lugo, dove lavorava la Poggiali, che a Ravenna e a Faenza, dove non metteva piede, c’erano tassi di mortalità analoghi. "Un confronto tra ospedali - rileva il perito - è sempre complesso: bisognerebbe tenere conto di un’ampia serie di confondenti". Il presidente taglia corto anche perché tale confronto non rientra nelle intenzioni. E allora l’ultimo affondo è per i dati: zeppi di errori pure grossolani, osserva il consulente della difesa. "Sono dati di servizio - annota il perito - sono tipicamente sporchi: né più né meno di altri che ho visto". Come dire che basta solo tenerne conto prima di elaborarli.

Andrea Colombari