
Il processo è partito ieri mattina per i sette imputati con un colpo di scena: il Consorzio, contesto delle accuse, ha revocato la costituzione di parte civile in quanto sembra che l’accaduto, come indicato dalla corte dei conti regionale, non abbia prodotto danno erariale. In totale all’inizio erano otto gli indagati: a suo tempo uno aveva però chiesto di procedere per altro sentiero giudiziario (la messa alla prova).
In linea generale si tratta di figure apicali – un dirigente d’area, un capo-settore e sei capireparto – del Consorzio di Bonifica della Romagna Occidentale che ha sede a Lugo e che ha competenza sulle province di Ravenna, Bologna, Forlì-Cesena, Ferrara e Firenze.
Devono rispondere a vario titolo di peculato, truffa aggravata perché ai danni dello Stato e falso ideologico in relazione a contestati usi impropri di auto di servizio, a richieste non congrue di straordinari o di rimborsi chilometrici e a vari episodi di assenteismo.
Tutti erano stati a suo tempo destinatari di una misura interdittiva di sospensione dal lavoro, variabile, a seconda della posizione e della gravità delle contestazioni mosse ai singoli, da un massimo di dodici mesi a un minimo di sette: misura poi revocata dal tribunale bolognese della Libertà su istanza specifica delle difese.
Per gli indagati – difesi dagli avvocati Giovanni Majo, Alessandro Docimo, Marina Venturi, Dina Costa, Giovanni Scudellari, Marco Martines e Giorgio Guerra – i guai si erano materializzati attraverso l’inchiesta della polizia battezzata ‘Dirty water’ e coordinata dal pm Angela Scorza. Gli accertamenti erano in particolare scattati a cavallo tra il 2018 e il 2019 grazie alle rivelazioni di una fonte confidenziale circa un sistema tratteggiato come noto a molti e consolidato da tempo.
Le verifiche della Digos (ieri mattina sono stati sentiti diversi investigatori che avevano contribuito all’inchiesta) erano passate attraverso pedinamenti – anche fino a una bocciofila imolese –, intercettazioni, raccolta di testimonianze, gps a calamita appiccicati sotto ai mezzi e materiale video. Inoltre sia a inizio che a fine estate 2019, su delega della procura, gli investigatori avevano eseguito due accessi alla sede lughese del Consorzio acquisendo vari documenti.
Alla luce di tutto ciò, gli inquirenti avevano ricostruito un presunto sistema diffuso del "malaffare", come l’aveva definito il gip Andrea Galanti nella sua ordinanza, caratterizzato dall’uso improprio dell’auto di servizio, dall’allontanamento sistematico dal posto di lavoro durante l’orario di servizio e da false attestazione circa ore di straordinario in realtà mai prestate. A queste, sempre secondo le contestazioni della procura, si aggiungeva la creazione di un vero e proprio sistema illecito di rimborsi chilometrici per conseguire di fatto una indebita integrazione dello stipendio.
I diretti interessati naturalmente sono pronti a dimostrare la liceità del loro operato nel corso del dibattimento.