"Così restituisco la vita a quadri e palazzi"

Per Ada Foschini dipinti, affreschi, tele ed edifici non hanno segreti. "Un lavoro bellissimo. Rimpianti? Uno solo: non avere eredi"

Carlo

Raggi

Negli anni Cinquanta il Candiano ancora scorreva in mezzo alla natura e lei, bambina, ha avuto la fortuna di abitare sulla sponda sinistra e di vedere ‘sfilare le navi’ come se placidamente solcassero i campi: e questa specie di sincretismo estetico deve aver inciso non poco sulla sua ‘sfrenata passione’ per l’arte che l’ha portata a diventare una delle più quotate restauratrici italiane di dipinti, affreschi, tele, palazzi. Ada Foschini ha al suo attivo interventi a Ravenna, Roma, Venezia, Milano, Ferrara, in Svizzera. Docente all’Accademia, alla Scuola per il restauro e all’Università, nel 2010 il suo ‘Laboratorio del Restauro’ ha partecipato all’Expo di Shangai come ‘eccellenza’ italiana.

Una vita dedicata al restauro.

"Proprio così, 44 anni di lavoro sull’arte, per farla rivivere, per dare un futuro alle opere, per consegnarle ai posteri. un valore di noi donne, dall’alba dei tempi, salvaguardare la tradizione, tramandare la conoscenza, a tutti i livelli…"

E la sua attività a chi la trasmetterà?

"Questo è un mio grande cruccio, non ho eredi…nel senso che in questo settore se si vuole essere qualcuno occorre essere non solo bravi, e per questo di gente brava con me ne ho, ma occorre essere anche imprenditori, tessere i contatti con le Soprintendenze, i Ministeri e sviluppare la propria azienda. Insomma, un doppio lavoro: ecco, è su questo piano che non vedo sbocchi…".

Come è nato questo suo enorme amore per l’arte?

"È stato un processo che si è snodato nel tempo. Alla base sta la passione per il disegno. A dieci anni disegnavo il paesaggio, i gatti che frequentavano i granai, le navi che silenziose solcavano il Candiano, ma sembrava sfilassero fra i campi perché non c’erano molte costruzioni attorno. Forse quell’ambiente circostante ha stimolato il mio senso dell’estetica, della bellezza. Ah, aggiungo che i gatti non solo li disegnavo: quando nascevano le cucciolate cercavo sempre di trovar loro una famiglia".

Lei parla di granai, navi, mici. Dove abitava?

"Alla fine degli anni 50 andammo ad abitare lungo il porto canale, ai magazzini del Consorzio Agrario di cui mio babbo, Anselmo, era direttore. Ho un ricordo forte di quel periodo. Una zona isolata, distante dalla città, con la banchina sempre animata per via delle navi che scaricavano i cereali. E sa che era stato il babbo a inventare il metodo per allibare i mercantili troppo pieni e che non potevano entrare in porto…".

Racconti.

"Fu lui a ideare il sistema di aspirazione dei cereali montato sulle navi. Erano due all’epoca, il Teodorico, gestito dai Ferruzzi e il Sant’Apollinare gestito dal Consorzio. Queste navi andavano in mare aperto, ancora non c’erano le dighe, si affiancavano ai bastimenti e li alleggerivano".

Prima di trasferirvi sul Candiano dove abitavate?

"In Borgo San Biagio dove la nonna gestiva un negozio di granaglie. La mamma, Maria Gattivecchi, era casalinga e io ero la terza di tre sorelle. Le elementari le ho fatte lì, alla De Amicis, le medie alla Pier Damiano. Poi il liceo artistico, era preside Teodoro Orselli, girava in bici nei corridoi…".

Viste le sue passioni, una scelta quasi obbligata.

"Ma per nulla scontata. Era il ’63, la scuola era in odore di trasgressione, mio padre era molto severo. Ma non si oppose, pensi invece che le mie sorelle avevano fatto le magistrali. Per le ragazze, le famiglie puntavano all’unica professione ‘ammessa’, la maestra, e al matrimonio! Il mio desiderio sarebbe stato quello di studiare architettura, per me costruire è una forma d’arte, ma sapevo che non sarebbe stato possibile dovendo per forza trasferirmi, a Venezia o Firenze…Comunque posso dirmi soddisfatta: non costruisco, ma restauro. Anche edifici, restituisco loro vita, penso al Palazzo della Cancelleria, sede della Sacra Rota, in Vaticano, o al mausoleo di Teodorico…"

Ne parliamo dopo. Quando si è diplomata?

"Ah, qui c’è una parentesi. A 17 anni sono rimasta incinta e a quel punto ho deciso di pensare alla famiglia. Mi sono sposata, con Antonio Ferruzzi, figlio del fratello di Arturo e così nel giro di sei anni sono nati Aldo, Francesca e Giorgia. Sono quindi tornata a scuola a 24 anni di età, nel ’74 mi sono diplomata e mi sono iscritta all’Accademia per specializzarmi in conservazione e restauro".

Il suo primo lavoro?

"Un dipinto di Andrea Barbiani consegnatomi da Lalla Franchi Malagola. All’epoca avevo allestito un laboratorio in casa, in piazza D’Annunzio, ma poi mi trasferii nei locali in affitto a palazzo Rota, in via San Vitale, dalla signora Baroncelli. Era il ’79 e contatto dopo contatto con le Soprintendenze di Ravenna e Bologna ebbi un primo incarico importante, il restauro degli affreschi seicenteschi delle Lunette nel complesso dei Benedettini, al Museo Nazionale, tutti sul tema delle pinete. Per lavorare al meglio mi buttai a capofitto nella lettura dei documenti dell’archivio dei monaci dove si trattava appunto di pinete, raccolta a terra delle pigne, mandrie libere. E’ importante conoscere i contesti".

Lavorava da sola?

"No, c’era già un primo nucleo, avevo due collaboratori Sergio Belacchi e Mila Valentini".

Lei già all’epoca era all’avanguardia, puntava sull’analisi chimica del materiale da restaurare…

"Mi avvalevo di due laboratori, uno a Vicenza e l’altro nelle Marche. Analisi che quasi nessun restauratore faceva, non era richiesto dai capitolati, ma è fondamentale per un lavoro che duri nel tempo".

E nel 1984 ha fondato la sua società, il ‘Laboratorio del Restauro srl’.

"Il lavoro stava crescendo, dopo la Soprintendenza ho lavorato agli stucchi della chiesa del Torrione, poi alla chiesa di S.Agata, colonne, altari, dipinti, affreschi. Il laboratorio l’avevo già trasferito nelle ‘case di San Vitale’, davanti alla Soprintendenza, poi dagli anni 90 la sede è in questo edificio costruito in via Galla Placidia. E siccome occorre sempre aggiornarsi ho fatto l’uditrice all’Istituto Centrale del Restauro".

Mi risulta che oltre a tutto questo lei abbia insegnato.

"E non ho ancora smesso…ho cominciato nel 1986, all’Accademia, poi alla scuola per il Restauro del Mosaico alla Soprintendenza e dal 2002 soprattutto all’Università, ai Beni Culturali e da ultimo al Tecore, il corso di laurea in Tecnologie e diagnostica per la conservazione e il restauro dei beni culturali".

Prima mi diceva di interventi al Mausoleo di Teodorico. "Una decina d’anni fa, abbiamo restaurato la fenditura della calotta e fatto manutenzione delle pietre. Il lavoro più prestigioso, durato due anni, è quello del Palazzo della Cancelleria, in Vaticano, inaugurato nel 2020, anzi, già c’è il contratto per nuovi interventi, poi il restauro del teatro Rossini a Lugo, appena riaperto. a non li ricordo tutti, grandi e piccoli saranno oltre un centinaio. Con me hanno lavorato fino a dieci persone!"

Per lei la pensione non esiste. "Guardi qui, sto lavorando anche adesso. Questo dipinto su legno è di Gaspare Sacchi, coetaneo di Longhi. Viene dalla chiesa di San Francesco. Ci sono i tarli, ed è tutto da ‘ripulire’. Vorrei tanto passare la mano, ma a chi? Peccato, visto che i finanziamenti per i restauri sono in aumento."