Dal ‘Benelli’ al Pala Piano: quante spine

Quando esplose la Teodora non c’era un impianto adeguato e tre scudetti furono vinti in trasferta

La storia degli impianti sportivi di Ravenna è – diciamo così – complicata. Lo stadio Benelli, ‘deliberato’ dal Comune nel 1955, fu inaugurato nel 1966, dopo mille peripezie, e dopo che Attilio Monti, presidente della gloriosa Sarom Ravenna, gettò la spugna per via delle lungaggini che gli impedirono di portare a termine il progetto ‘serie B’. Alla fine degli anni 70, il PalaCosta (allora, ancora Palestra Coni), sotto la spinta del club maschile, protagonista in A1, fu ampliato con una tribuna da 700 posti, portando la capienza a 1.000 posti, ma costringendo la squadra di casa a giocare un campionato a Faenza. Con i soldi spesi per l’ampliamento, si sarebbe andati molto vicino alla costruzione di un nuovo palasport.

Nel frattempo cominciò l’epopea della Teodora. Ma Ravenna non aveva ancora un palasport adeguato. Il Carisport di Cesena (inaugurato nel 1985) e il Palafiera di Forlì (taglio del nastro nel 1987) accolsero 3 degli 11 scudetti dell’imperatrice.

Proprio in quegli anni, il Comune – sfruttando le sovvenzioni statali previste dalla legge sui Mondiali del ’90 – decise di colmare il gap e di costruire un nuovo palasport da 6.200 posti, affidando il progetto all’archistar Renzo Piano, pagato oltre 900milioni di vecchie lire. PalaPiano, di nome e di fatto. Tanto che, Raul Gardini prese il toro per le corna e fece edificare il Pala de André. Di fronte all’iniziativa dell’imprenditore ravennate, e a qualche altro problema assortito, il Comune, che nel frattempo aveva praticamente ultimato i lavori delle fondamenta, fu costretto a interrompere il progetto e a riconvertire l’area in uffici comunali. Il resto, 32 anni dopo, è storia (molto) recente.